Stanotte dormirò da sola

Un piccolo camenerio è spuntato tra le mie macerie. 

Immobile, l’ho osservato germogliare.

Non sopravviverà, ma in fondo, è pur sempre un fiore. 

Non nutro speranze, ma è bello e al contempo dilaniante guardarlo farsi strada con tenacia tra cumuli di polvere e pietre. 

Così piccolo, così fragile e allo stesso tempo così determinato.

Vorrei potermene prendere cura, ma ogni sentimento ha il suo destino e la sua strada: un viaggio da compiere. 

Non si può cambiare il corso delle cose.

Così, vigliaccamente, fingo di ignorarlo.

Non me ne vorrà male, quel piccolo fiore. 

Non ho più lacrime per innaffiarlo, né più sorrisi per nutrirlo. 

Il tempo ci rincorre spietato.

Ma lo ringrazio per tutto il colore che ha inaspettatamente, con leggerezza, dipinto su questa tela bruciata. 

Non voglio più conoscere il colore del grano. 

Non voglio più addii. 

Il nostro abbraccio è durato troppo a lungo.

Abbiamo amato fino all’osso.

Sento le ossa macinare, vedo

i nostri due scheletri.

Ora sto aspettando

che tu te ne vada, che

il rumore delle tue scarpe

non si senta più. Ora, silenzio.

Stanotte dormirò da sola

sulle lenzuola della purezza.

La solitudine

è la prima misura igienica.

La solitudine

allargherà le pareti della stanza,

aprirò la finestra

e l’aria grande e gelida entrerà,

salutare come la tragedia.

Entreranno pensieri umani

e preoccupazioni umane,

le disgrazie degli altri, la santità degli altri.

Converseranno dolcemente e severamente.

Non venire più.

Sono un animale

molto raramente.

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