Narciso

Un pò ammaccata, ma sono ancora in piedi.

Il tempo ha fatto il suo e finalmente riesco a parlarne.

Come dice un mio caro amico, io non mi spezzo mai. Stavolta devo ammettere ci ero andata molto vicino, eppure sono qui, di nuovo, a scrivere, come ogni volta che la vita mi insegna qualcosa su me stessa e su questo mondo così difficile da decifrare.

Ho amato un ragazzo molto più giovane di me. Una relazione difficile di suo, ma quel ragazzo aveva qualcosa di incredibilmente speciale, una rara tenerezza e una dolcezza che riusciva a far dimenticare tutte le mie logiche paure.

Era un ragazzo, eppure di lui io vedevo il bambino ferito che si nascondeva dietro un cazzone divertente e sempre allegro.

Come in tutte le relazioni le cose cambiano.

Lui è iniziato a cambiare piano piano, e se è vero che non ci sono colpe nello smettere di amare qualcuno, è anche vero che almeno in nome dell’amore che si è provato, di quello che si è ricevuto, si dovrebbe andar via da una relazione con dignità, soprattutto prendendosi cura della dignità dell’altro, con rispetto.

Non è stato così. Arroganza, squalifica, violenza verbale e una sportellata sono stati il coronamento di una storia che per quanto improbabile, era iniziata con le migliori aspettative.

Solo pochi giorni prima mi aveva permesso di vederlo in tutta la sua fragilità. Quella notte ci eravamo amati con una rara intensità. Mi aveva permesso di vederlo.

In realtà più che permesso, costretto: lo avevo messo con le spalle al muro e lui non aveva potuto fare altro che mostrasi.

Poi, di punto in bianco, solo pochi giorni dopo, senza un apparente motivo, è diventato scostante, freddo, arrogante. Lo attribuivo al fatto che non fosse per lui un buon periodo, ma ero convinta così tanto dell’amore che diceva di provare per me, che ero pronta ad accettare anche i suoi cambiamenti di umore. Ci siamo allontanati solo per pochi giorni e quando ci siamo rivisti era un uomo diverso. Incattivito, arrabbiato, crudele.

“Non so più cosa provo per te”. Un pugno sul cuore. Mille pugni nell’anima.

Ero distrutta, confusa, attonita.

Così, senza un motivo, o almeno senza darmene uno che avesse un senso.

Eravamo in vacanza insieme quando è successo tutto e durante una cena, non contento della ferita che aveva aperto nel mio cuore, aveva avuto anche il coraggio di fare commenti sul culo di una cameriera, frasi del tipo “Il perizoma dovrebbe essere illegale”. Così, una pugnalata gratis su un’anima già sanguinante. Non ce n’era davvero bisogno.

Un commento stupido, che in un altro momento sarebbe stato quasi divertente, ma farlo davanti ad una persona che hai appena ferito dimostra una mancanza di empatia e tutto il disprezzo e la noncuranza che si ha per i sentimenti dell’altro.

La vacanza è finita un pò fingendo, raccontandoci la bugia che una volta a Roma, magari ci sarebbe stato tempo per chiarire, per riflettere, magari per non buttare tutto nel cesso o magari si.

A quella bugia in fondo non credevo neanche io.

Dopo tutto quello che era successo, non ero più in grado di rimarginare la ferita.

Ho passato giorni, settimane, mesi, a rimuginare, a odiarlo anche.

Perché.

Niente aveva senso.

Poi ho capito.

C’è stato un momento, mentre rientravo a casa, con una lacrima sul viso e mille nel cuore in cui ho recitato un daimoku, un mantra buddista che ha accompagnato per quasi tutta la mia vita.

“NAM MYOHO RENGHE KYO, aiutami a non odiare quello stronzo”.

Ho visto all’improvviso quella sua ferita narcisista che lo ha sempre braccato.

Sono riuscita a toccarla con il mio cuore.

Lui non sa amare. Vorrebbe ma non lo sa fare. Si disprezza in fondo, ma nessuno deve saperlo, nessuno deve vederlo. Nessuno.

Pretende, finge di essere amabile, per conquistare: la sua conquista gratifica il suo ego ferito dal disprezzo che lui prova per se stesso.

E continuerà, continuerà così all’infinito perché non è capace della vicinanza che l’amore richiede.

Non sa amare e non sarà mai amato veramente a meno che non impari ad accettarsi, ad abbracciare le sue imperfezioni, a curare la sua ferita e a farsi abbracciare. Dovrà imparare a dare.

Non sono cose che può insegnare una donna, certo non sono cose che avrei potuto insegnare io.

Detestava il solo fatto di essersi messo a nudo, odiava il fatto di averlo fatto con me che in fondo non ero altro che un’altra delle sue relazioni destinate alla stessa parabola.

Non voleva essere visto.

All’improvviso ho provato un’incredibile tristezza: non era più la mia, ma la sua.

Doveva odiarmi, non poteva far altro. Ero uno specchio per lui. Sapeva che guardandolo, ora che si era messo a nudo, io avrei visto proprio tutto ciò che disprezzava.

Doveva mortificarmi, doveva distruggermi in nome del disprezzo che lui provava per se stesso.

Lui neanche lo sa. Non credo sia in grado di analizzare se stesso con questa lucidità, non perché non sia intelligente, lo è molto, non ha mai avuto i mezzi.

Così magari ha preso la prima scusa, una ragazza carina che gli girava intorno, la noia di una relazione che ha perso di senso perché non c’è più bisogno di conquista, un vecchio amore, una delle mie tante imperfezioni, per giustificare se stesso e tutto lo schifo di cui era stato capace.

Oggi, dopo tanto tempo, sono tornata a recitare Daimoku per un’ora vicino casa mia. Avevo dimenticato la potenza del daimoku.

Ora lo so.

Non lo odio. Non lo odio più. Non c’è più rabbia.

Nonostante tutto quello che mi ha fatto, il dolore, l’umiliazione, lo squallore, e pur avendo io deciso di andare via da una relazione tossica, provo ancora tenerezza per lui.

So che in fondo, un pò, mi ha voluto bene davvero. Glie l’ho letto negli occhi la sera in cui si è messo a nudo. Ma ad amare veramente, quello no, di quello non sarà capace fin quando non deciderà di amare se stesso, di lasciare andare il bambino ferito che cerca solo gratificazioni e diventerà l’adulto che accetterà che la vita è imperfetta, che lo è lui e come lo siamo in fondo tutti noi. Che si può essere amati nonostante tutto, nonostante noi. Metterà sempre prima di tutto se stesso, il suo egoismo, i suoi bisogni. Fuggirà sempre dalle sue responsabilità, dagli obblighi dell’amore, le scomodità dell’amore e le assolutezze che la l’amore richiede.

Che pena.

É immensamente triste sapere che la fuori ci sono persone che non sanno sentire, che non sanno amare e che mai sapranno quanto l’amore può curare.

Quanto l’amore sia in grado di accogliere.

L’amore, quello vero, non cerca la bellezza, ma l’abiezione, l’oscenità, la bruttezza, i difetti, i nei, il caos.

Perché in fondo in quel caos c’è la vera natura del cuore, la vera natura del mondo e solo accettandolo si può trovare il senso della nostra breve esistenza.

Una parte di me, quella emotiva, avrebbe voluto dirgli tutto questo; un’altra, quella razionale, sente che non capirebbe, che non accetterebbe le mie conclusioni e che sarebbe un’inutile conversazione con un sordomuto.

Così nel mio cuore oggi non c’è più rabbia, ma una nuova, piccola, seppur dolorosa, consapevolezza.

Ho imparato qualcosa sul mondo, sulle persone e la fragilità, ho imparato qualcosa di me.

Ho dato un senso ad un piccolo pezzettino di mondo altrimenti inintelligibile, anche se il prezzo da pagare è stato altissimo.

Ma nulla avviene per caso.

E c’è ancora amore nel mio cuore: la ferite lasciano cicatrici, ma in fondo le sento come tatuaggi che raccontano la mia storia e quelle degli altri.

Con tutto il cuore mi auguro che ce la faccia, mi auguro che per lui ci sia speranza, perché tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero provare l’amore vero, incondizionato e sentire quel calore che scioglie e che da un senso a tutto quel ghiaccio che ci tiene imprigionati e non ci fa volare.

Che sia per una notte soltanto, per pochi mesi o per tutta la vita.

Non possiedo la sua verità, e forse nulla di quello che ho scritto ha veramente significato, ma ho la mia. Gli ho voluto molto bene, nonostante le bugie che raccontava a me e a se stesso, questo non posso cancellarlo. Ma non c’è posto per l’inferno nel mio cuore.

Spero che tutto il bene che ancora mi porto dentro per lui, per quel bambino lacerato con cui in fondo avrei voluto giocare ancora un pò, anche senza più sentirsi, senza più parlarsi, senza più conoscersi né riconoscersi, arrivi in qualche modo al suo cuore lontano ormai anni luce e lo scaldi, per aiutarlo a diventare quello splendido adulto di cui ha tutto il potenziale.

Io devo andare.

Non posso restare e non voglio farlo ma so che una parte di me, rimarrà sempre li, in quel giardino sgangherato pieno di polvere, fango e relitti a cantare con lui canzoni a squarciagola, a fare discorsi strampalati eppure così pieni di senso dopo una canna, a ballare fino al mattino.

Nonostante tutto, è stato un bel viaggio.

A fare l’amore dove l’unica verità la gridavano i nostri corpi, le cui pelli erano capaci di sussurrare tutte le canzoni d’amore del mondo.

Un pensiero su “Narciso

  1. Ciao
    grazie per la condivisione spero trovi anche tu presto gioia a prescindere e ti mando un abbraccio (siamo compagne nel daimoku ho scoperto leggendoti).
    Simona

    Inviato da iPad

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