Lievità

Ho ritrovato tra i vari appunti e bozze di cose random scritte, poesie e blog, questa lettera.

Per ricordarmi chi sono, che so e quanto so sentire. 

La storia poi non è finita con la dolcezza che speravo, piuttosto con una tempesta, ma i ricordi delle esperienze, per quanto fastidiose o più o meno dolorose che siano, non andrebbero mai cancellati. Neanche le tempeste. Soprattutto le tempeste.

La memoria ti aiuta a ricordare da dove sei partita e chi sei diventata.
La memoria di aiuta a capire meglio questo mondo strampalato, a navigare nel mare quando è in burrasca e quando è mite, a ricordarti che la magia non è mai quella dell’altro, ma la tua, sempre.

Io non te lo so spiegare il dolore che provo. 

“Se quando mi hai fatto quella sorpresa io avessi avuto da fare, un impegno?”
Eppure ricordavo che mi avessi scritto che nessuno aveva fatto un gesto tanto bello per te. 
Che motivo c’era di rimarcare, mesi dopo: “ Se quando mi hai fatto quella sorpresa io avessi avuto da fare, un impegno?”
Non ho mai avuto quindici anni. 
Certo non li ho oggi. 

Non era mai stato importante il risultato, la cosa importante era fare la magia. 
Te la sei portata via. 
Mi hai portato via forse il più bel ricordo che avessi di te, di noi. 
Semplicemente, te la sei portata via. 
Quando ti conobbi scrissi una cosa per te, che forse venne fuori come una sorta di dolorosa poesia. 
Era bella, faceva male ma era bella, mi dicesti. 

“La poesia mi fa schifo” mi dicesti una notte. Lo hai detto, anche se mi dici di non averlo mai fatto. 
Perché ti faccio credere di ricordare poco, pur condannata a ricordare ogni piccolo dettaglio, e ciò che mi ferisce, non lo dimentico.
E non mi ferisce perché non ti piace la poesia, ma perché in tanto di quello che dicevi di amare di me, c’era poesia. 

Te la sei portata via a Pasquetta, quando sono diventata invisibile.
Te la sei portata via quando stavamo per fare l’amore, e mi hai parlato di un’altra.
Quando per gioco ti chiesi “Dimmi che sono la donna più bella del mondo”. “ Ma non sei la donna più bella del mondo, perché dovrei mentire”.
Quando mi dicesti “Se mi tocchi ancora ti prendo a schiaffi”.
Quando con sufficienza mi rispondesti che Che l’amore sia una scelta è una frase retorica.
Con le tue subdole squalifiche che ho finto di non vedere, ma le sentivo eccome. Ti ho lasciato giocare con me perché volevo vederti, vedere chi sei realmente, venire a prenderti, tenderti la mano in nome del ricordo di quel bambino spaventato che avevo intravisto e sentito quando ci siamo conosciuti.

Te la sei portata via quando hai dimenticato chi sono. Chi eravamo insieme, sul quel divano, abbracciati, annodati, sospesi.
Quando hai smesso di ascoltarmi.
Quando mi hai fatto sentire come una tra tanti altri miliardi di donne sul pianeta.
Quando hai scelto di ferirmi, di prenderti gioco di me per dimostrare il tuo valore, la tua grandezza.
Una grandezza in cui neanche tu credi.

Lascio ad altri la scelta che oggi, non riesco più a fare. 

Eppure una volta ti scelsi.
Scelsi di restare, pur sapendo che non avrei dovuto.
Ti scelsi perché eri diverso. Ti sentivo diverso, o meglio, ti immaginavo diverso.
Non ti scelsi perché hai un bel corpo, grandi occhi profondi e un bel viso divertente.

Ti scelsi perché pensavo che il tuo cuore fosse pieno di magia, di tenerezza, al di la di tutto il resto.
Oggi so, che nel tuo cuore c’è una rabbia sorda e cieca che è il nulla, una bottiglia vuota chiusa ermeticamente dove vorresti far entrare il mondo, ma non ci riesci.
Di quel vuoto hai il terrore e quella bottiglia non la sai aprire.
Ti scelsi per la magia che provavo quando mi eri accanto, ma ho sempre saputo, che in fondo era la mia magia.

E ti scelsi contro tutto. 
A dispetto di chi mi diceva “Ma si divertiti, finché dura, perché non durerà”. 
Ti scelsi nonostante tutto e a dispetto di tutti. 
Non è mai stata una scelta facile, ma scelsi te. 
Ti scelsi perché sognavo una storia pieni di baci sulla spiaggia, davanti al mare, mentre mi dicevi: “ Sei la donna più bella del mondo”. 
Ti scelsi perché speravo capissi quanta emozione ci fosse dentro le mie stupide poesie o il mio stupido blog e avrei voluto che ne facessi parte. 
Ti scelsi forse perché Istanbul è un luogo pieno di magia, e quella magia volle che scegliessi te. 
Nonostante tutto. 
Scelsi te, nonostante me.
Nonostante avrei voluto scappare, partire, sparire. 
Non hai mai capito veramente cosa volessi direi quando affermavo: “L’amore è una scelta”. 
Non hai mai capito che ti stavo urlando dentro “Ho scelto te, nonostante te”. 
Nonostante io sappia chi sei e veda quel dolore che hai dentro che neanche tu sai riconoscere. 

Quella scelta per te non ha mai avuto valore, sebbene per me pesasse come un macigno. 
Era già tutto previsto in fondo. 
Eppure scelsi comunque te. 
E ti scelgo oggi pur decidendo di non assecondare il tuo vuoto, la tua follia, piuttosto, di assecondare la mia. 

Così prenoto il nostro primo e ultimo viaggio insieme, così attendo che il nostro sia un addio dolce, perché di te, voglio ricordare la dolcezza che mi fatto battere forte il cuore, tanto tempo fa; voglio ricordare di te come ti sentivo.

E pur sapendo che anche stavolta mi ferirai, mi deluderai, voglio regalarmi un ultimo ballo, un ultimo bicchiere, di te, voglio regalarmi un bel ricordo. 

Ti auguro qualcuno che riesca a scegliere te, a sceglierti come ho fatto io. 
Ti auguro qualcuno che non abbia bisogno di magia. 
Ti auguro di guarire quel vuoto che hai dentro, di curare quelle ferite che non sai neanche di avere. 
Perché un giorno capirai che tutte le emozioni superficiali di cui ti nutri, non riempiranno quel buco nero che hai dentro. 

Perché un giorno avrai bisogno di amore, quello vero, e intorno a te ci sarà solo deserto, il deserto che avrai creato tu stesso attorno a te, con le tue stesse mani. 
E nonostante tu abbia smesso di sentirmi, di vedermi, io sono ancora quella donna che tu hai dimenticato e di cui ti sei nutrito, non smetterò mai di esserlo, né per te, né per nessun altro. 
E se non puoi darmi la magia, almeno non ti permetterò di portarmela via. 
Mi hai perso tanto tempo fa e non te ne sei neanche accorto. 

Cosi resto, resto ancora un pò, un’ultima carezza. Un ultimo bacio. Un ultimo viaggio. Un ultimo ricordo. 

Roma, 9 maggio

Riflessioni sul narcisismo patologico e le sue conseguenze: un’analisi fatta da un narcisista patologico in terapia.

Sperando possano aiutare le tante persone che lottano quotidianamente con narcisisti e narcisismo. Le dipendenti affettive, le persone fragili, quelle più forti.

Narciso

Un pò ammaccata, ma sono ancora in piedi.

Il tempo ha fatto il suo e finalmente riesco a parlarne.

Come dice un mio caro amico, io non mi spezzo mai. Stavolta devo ammettere ci ero andata molto vicino, eppure sono qui, di nuovo, a scrivere, come ogni volta che la vita mi insegna qualcosa su me stessa e su questo mondo così difficile da decifrare.

Ho amato un ragazzo molto più giovane di me. Una relazione difficile di suo, ma quel ragazzo aveva qualcosa di incredibilmente speciale, una rara tenerezza e una dolcezza che riusciva a far dimenticare tutte le mie logiche paure.

Era un ragazzo, eppure di lui io vedevo il bambino ferito che si nascondeva dietro un cazzone divertente e sempre allegro.

Come in tutte le relazioni le cose cambiano.

Lui è iniziato a cambiare piano piano, e se è vero che non ci sono colpe nello smettere di amare qualcuno, è anche vero che almeno in nome dell’amore che si è provato, di quello che si è ricevuto, si dovrebbe andar via da una relazione con dignità, soprattutto prendendosi cura della dignità dell’altro, con rispetto.

Non è stato così. Arroganza, squalifica, violenza verbale e una sportellata sono stati il coronamento di una storia che per quanto improbabile, era iniziata con le migliori aspettative.

Solo pochi giorni prima mi aveva permesso di vederlo in tutta la sua fragilità. Quella notte ci eravamo amati con una rara intensità. Mi aveva permesso di vederlo.

In realtà più che permesso, costretto: lo avevo messo con le spalle al muro e lui non aveva potuto fare altro che mostrasi.

Poi, di punto in bianco, solo pochi giorni dopo, senza un apparente motivo, è diventato scostante, freddo, arrogante. Lo attribuivo al fatto che non fosse per lui un buon periodo, ma ero convinta così tanto dell’amore che diceva di provare per me, che ero pronta ad accettare anche i suoi cambiamenti di umore. Ci siamo allontanati solo per pochi giorni e quando ci siamo rivisti era un uomo diverso. Incattivito, arrabbiato, crudele.

“Non so più cosa provo per te”. Un pugno sul cuore. Mille pugni nell’anima.

Ero distrutta, confusa, attonita.

Così, senza un motivo, o almeno senza darmene uno che avesse un senso.

Eravamo in vacanza insieme quando è successo tutto e durante una cena, non contento della ferita che aveva aperto nel mio cuore, aveva avuto anche il coraggio di fare commenti sul culo di una cameriera, frasi del tipo “Il perizoma dovrebbe essere illegale”. Così, una pugnalata gratis su un’anima già sanguinante. Non ce n’era davvero bisogno.

Un commento stupido, che in un altro momento sarebbe stato quasi divertente, ma farlo davanti ad una persona che hai appena ferito dimostra una mancanza di empatia e tutto il disprezzo e la noncuranza che si ha per i sentimenti dell’altro.

La vacanza è finita un pò fingendo, raccontandoci la bugia che una volta a Roma, magari ci sarebbe stato tempo per chiarire, per riflettere, magari per non buttare tutto nel cesso o magari si.

A quella bugia in fondo non credevo neanche io.

Dopo tutto quello che era successo, non ero più in grado di rimarginare la ferita.

Ho passato giorni, settimane, mesi, a rimuginare, a odiarlo anche.

Perché.

Niente aveva senso.

Poi ho capito.

C’è stato un momento, mentre rientravo a casa, con una lacrima sul viso e mille nel cuore in cui ho recitato un daimoku, un mantra buddista che ha accompagnato per quasi tutta la mia vita.

“NAM MYOHO RENGHE KYO, aiutami a non odiare quello stronzo”.

Ho visto all’improvviso quella sua ferita narcisista che lo ha sempre braccato.

Sono riuscita a toccarla con il mio cuore.

Lui non sa amare. Vorrebbe ma non lo sa fare. Si disprezza in fondo, ma nessuno deve saperlo, nessuno deve vederlo. Nessuno.

Pretende, finge di essere amabile, per conquistare: la sua conquista gratifica il suo ego ferito dal disprezzo che lui prova per se stesso.

E continuerà, continuerà così all’infinito perché non è capace della vicinanza che l’amore richiede.

Non sa amare e non sarà mai amato veramente a meno che non impari ad accettarsi, ad abbracciare le sue imperfezioni, a curare la sua ferita e a farsi abbracciare. Dovrà imparare a dare.

Non sono cose che può insegnare una donna, certo non sono cose che avrei potuto insegnare io.

Detestava il solo fatto di essersi messo a nudo, odiava il fatto di averlo fatto con me che in fondo non ero altro che un’altra delle sue relazioni destinate alla stessa parabola.

Non voleva essere visto.

All’improvviso ho provato un’incredibile tristezza: non era più la mia, ma la sua.

Doveva odiarmi, non poteva far altro. Ero uno specchio per lui. Sapeva che guardandolo, ora che si era messo a nudo, io avrei visto proprio tutto ciò che disprezzava.

Doveva mortificarmi, doveva distruggermi in nome del disprezzo che lui provava per se stesso.

Lui neanche lo sa. Non credo sia in grado di analizzare se stesso con questa lucidità, non perché non sia intelligente, lo è molto, non ha mai avuto i mezzi.

Così magari ha preso la prima scusa, una ragazza carina che gli girava intorno, la noia di una relazione che ha perso di senso perché non c’è più bisogno di conquista, un vecchio amore, una delle mie tante imperfezioni, per giustificare se stesso e tutto lo schifo di cui era stato capace.

Oggi, dopo tanto tempo, sono tornata a recitare Daimoku per un’ora vicino casa mia. Avevo dimenticato la potenza del daimoku.

Ora lo so.

Non lo odio. Non lo odio più. Non c’è più rabbia.

Nonostante tutto quello che mi ha fatto, il dolore, l’umiliazione, lo squallore, e pur avendo io deciso di andare via da una relazione tossica, provo ancora tenerezza per lui.

So che in fondo, un pò, mi ha voluto bene davvero. Glie l’ho letto negli occhi la sera in cui si è messo a nudo. Ma ad amare veramente, quello no, di quello non sarà capace fin quando non deciderà di amare se stesso, di lasciare andare il bambino ferito che cerca solo gratificazioni e diventerà l’adulto che accetterà che la vita è imperfetta, che lo è lui e come lo siamo in fondo tutti noi. Che si può essere amati nonostante tutto, nonostante noi. Metterà sempre prima di tutto se stesso, il suo egoismo, i suoi bisogni. Fuggirà sempre dalle sue responsabilità, dagli obblighi dell’amore, le scomodità dell’amore e le assolutezze che la l’amore richiede.

Che pena.

É immensamente triste sapere che la fuori ci sono persone che non sanno sentire, che non sanno amare e che mai sapranno quanto l’amore può curare.

Quanto l’amore sia in grado di accogliere.

L’amore, quello vero, non cerca la bellezza, ma l’abiezione, l’oscenità, la bruttezza, i difetti, i nei, il caos.

Perché in fondo in quel caos c’è la vera natura del cuore, la vera natura del mondo e solo accettandolo si può trovare il senso della nostra breve esistenza.

Una parte di me, quella emotiva, avrebbe voluto dirgli tutto questo; un’altra, quella razionale, sente che non capirebbe, che non accetterebbe le mie conclusioni e che sarebbe un’inutile conversazione con un sordomuto.

Così nel mio cuore oggi non c’è più rabbia, ma una nuova, piccola, seppur dolorosa, consapevolezza.

Ho imparato qualcosa sul mondo, sulle persone e la fragilità, ho imparato qualcosa di me.

Ho dato un senso ad un piccolo pezzettino di mondo altrimenti inintelligibile, anche se il prezzo da pagare è stato altissimo.

Ma nulla avviene per caso.

E c’è ancora amore nel mio cuore: la ferite lasciano cicatrici, ma in fondo le sento come tatuaggi che raccontano la mia storia e quelle degli altri.

Con tutto il cuore mi auguro che ce la faccia, mi auguro che per lui ci sia speranza, perché tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero provare l’amore vero, incondizionato e sentire quel calore che scioglie e che da un senso a tutto quel ghiaccio che ci tiene imprigionati e non ci fa volare.

Che sia per una notte soltanto, per pochi mesi o per tutta la vita.

Non possiedo la sua verità, e forse nulla di quello che ho scritto ha veramente significato, ma ho la mia. Gli ho voluto molto bene, nonostante le bugie che raccontava a me e a se stesso, questo non posso cancellarlo. Ma non c’è posto per l’inferno nel mio cuore.

Spero che tutto il bene che ancora mi porto dentro per lui, per quel bambino lacerato con cui in fondo avrei voluto giocare ancora un pò, anche senza più sentirsi, senza più parlarsi, senza più conoscersi né riconoscersi, arrivi in qualche modo al suo cuore lontano ormai anni luce e lo scaldi, per aiutarlo a diventare quello splendido adulto di cui ha tutto il potenziale.

Io devo andare.

Non posso restare e non voglio farlo ma so che una parte di me, rimarrà sempre li, in quel giardino sgangherato pieno di polvere, fango e relitti a cantare con lui canzoni a squarciagola, a fare discorsi strampalati eppure così pieni di senso dopo una canna, a ballare fino al mattino.

Nonostante tutto, è stato un bel viaggio.

A fare l’amore dove l’unica verità la gridavano i nostri corpi, le cui pelli erano capaci di sussurrare tutte le canzoni d’amore del mondo.