Valentine de Saint-Point – Manifesto della Donna Futurista, 1912.
“Eppure la nostra è un’epoca che vede trionfare il femminismo, con i suoi orrori e la sua bellezza. Accanto alle donne sprovviste di ogni grazia, che – per acquisire diritti che le altre hanno in pratica sempre posseduto -, copiando l’uomo, si sono virilizzate al punto di perdere tutte le loro essenziali qualità femminili, altre donne, che sono belle o semplicemente dotate di un’intelligenza più vasta, hanno acquisito una maggiore indipendenza di spirito e di vita, un gusto per lo sforzo personale e per un’attività in armonia con la grazia e la fatalità del loro essere, che le libera da ogni tutela e da ogni forzata irreggimentazione.
La giovane donna di oggi è, almeno nelle sue affermazioni e nella sua apparenza, ben diversa dalla giovane donna di quarant’anni fa. Dico: nelle sue affermazioni e nella sua apparenza, perché è del tutto certo che la psiche della donna, nei suoi tratti fondamentali, rimane più o meno immutabile attraverso i secoli e le epoche. Le sue virtù restano le stesse, ma, a seconda dei tempi, vengono mascherate d’ipocrisia, tenute a freno o lasciate libere di manifestarsi.
Ai nostri giorni le virtù femminili possono sbocciare liberamente; la donna più libera non si accontenta più delle antiche apparenze che ce la mostravano, a seconda della situazione sociale, come casalinga compiacente e silenziosa, o come fascinoso oggetto di lusso, ma senza slancio, senza durevole volontà; passiva, rassegnata ad un compito meccanico di consolazione e di piacere, soggiogata all’unico protagonista attivo della vita: il maschio.
Essa afferma liberamente la propria volontà di dominio, più o meno forte secondo il suo carattere, il suo orgoglio di espiratrice, di educatrice e a volte anche di creatrice: essa proclama la propria coscienza, di cui regola i moti con maggiore o minore eleganza, ma che comunque rivendica.
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Platone assegnava alla donna tre qualità essenziali: la grazia, la pietà, l’intùito. Nella nostra concezione moderna, ancora embrionale, della vita, pietà significa, più precisamente, riconoscere ad ogni creatura il diritto alla vita, diritto che diventa il più semplice e il più grande dovere umano, comune a tutti.
Ma con la grazia dell’intùito, e con altre virtù che le sono proprie, quali la tenacia paziente e scaltra, l’abnegazione verso l’amante e il bambino, l’eroismo modesto nel dolore fisico e morale, tutto ciò di cui è fatta la maternità, che si estende dal bambino all’uomo – poiché questi rimane per tutta la vita il bimbo della donna, e in ogni amore di donna vi è maternità -, la donna è stata e resterà colei che crea, che domina, che esalta, e che, incoraggiandone le ambizioni, rafforza la volontà di vivere degli uomini, e dal suo ruolo di creatrice di corpi si eleva fino alla capacità di produrre anime”.