Certe equazioni non tornano mai.

 

Rimango sempre ammirata davanti alle vite degli altri: esseri che si districano tra algoritmi imperfetti e funzioni improbabili contenute nella loro grande equazione della vita.

In qualche maniera, il risultato di queste formule straordinarie di sopravvivenza, riesce sempre a dare un numero positivo e finito.

A dire il vero, ho cercato di risolvere la mia equazione sin da piccina, ma per quanto provassi, per quanto diligentemente mi applicassi, il risultato sembrava sempre essere un numero infinito con il segno meno davanti.

I conti non tornavano neanche quando in fondo, c’erano in gioco delle semplici addizioni.

Mi sono resa conto piuttosto presto di aver qualche lacuna, di come nessuno mi avesse fornito i mezzi per creare un’equazione che avesse infine una soluzione, così mi sono dovuta un po’ ingegnare…e anche in la con gli anni, quando ero vicina a trovarne una, a mettere insieme addendi, sequenze, integrali ed algoritmi, ecco che un numero, infinitesimamente piccolo, tutto ad un tratto, cambiava, così da dover cominciare da capo.

Pensavo che forse, invece di svolgere la mia di equazione, avrei potuto stare a guardare quelle degli altri, per capire dove giaceva in me l’errore della complicazione matematica.

Ed ormai, da che che ne ho memoria, sto li ad ammirare in disparte le altrui equazioni, seduta a guardarne eseguire lo svolgimento per anni interi, nella sempre più “matematica incertezza” che la mia, non sia un’equazione risolvibile.

E’ anche vero, che quando stai li a guardare, ti accorgi che nella maggior parte dei casi, le equazioni tornano perché le persone barano. Riesco ad ammirarli anche per questo.

Cambiano un numero, un fratto, una radice minuta e perfettamente quadrata, e la funzione, torna sempre: la cosa si è complicata con il tempo, quando ho capito che il loro risultato, per sinaptiche connessioni fuor di stesto che mio malgrado legano me a questo complicato universo, influenza i numeri della mia, magari anche un ridente 2 che diventa un malinconico 1, ed ecco che, nella mia fottutissima equazione, non mi ci ritrovo più.

Così eccomi qui: a dirvi che davvero no, non riesco a risolvere la mia equazione.

Mi sono chiesta spesso se, come altri, dovrei semplicemente barare e fingere fattori diversi, sottrarre addendi, elevare a potenza l’ego ed inserire a casaccio una tetrazione, ma poi lo so che no, non sarebbe la mia equazione.

Quell’equazione che mi spinge a guardare dentro me stessa oltre il limite del sostenibile, quella che ha bisogno di capire quali siano i numeri reali e quali non appartengono al sottoinsieme dell’insieme, seppur nell’assoluta consapevolezza che la mia, è una lotta contro le leggi della fisica, che la realtà non esiste come una, ma che piuttosto la vita ne contempla numerose così come infiniti universi, dove la mia equazione si risolve, sia pur anche in un numero infinito con il segno meno davanti, ma ogni volta diverso.

Credo dipenda dai quanti. Dannatissimi quanti.

Non vogliono proprio dartela, la soluzione, si limitano a mostrarti che la tua, nel mondo reale non esiste, che nell’universo quantistico hai tutte i risultati del mondo senza averne alcuno.

Quindi lo so, che il problema poi, è un po’ tutto li: bambina un po’ smarrita in un mondo che non quadrava, sono rimasta piccola piccola, mi sono fatta piccola piccola, per non disturbare, in punta dei piedi sempre e sempre più piccola, fino a divenire un piccolo, piccolissimo quanto, in un universo con leggi che cambiano senza avvisare.

Ed in questa dimensione microscopica, ad un certo punto, mi sono semplicemente persa: talmente piccola da non vedermi, non sentirmi, non toccarmi. Talmente piccola da non permettere agli agli di vedermi, sentirmi toccarmi.

Allora mi è venuto in mente un capitolo dell’Ulisse di Joyce, Itaca, dove, Mr. Bloom cerca di spiegare a a Stephen Dedalus le sue meditazioni sull’ordine di grandezza delle distanze e dei volumi delle stelle, della durata del tempo, del numero degli organismi microscopici e delle cellule. Putroppo Bloom, non sa dare, alla fine, un risultato preciso dei suoi calcoli, spiegando il problema così:

“Qualche anno prima, nel 1886, quando era occupato con il problema della quadratura del cerchio, era venuto a sapere dell’esistenza di un numero calcolato con relativo grado di precisione da essere di grandezza tale e di così tante cifre, ad esempio la nona potenza della nona potenza di 9, che una volta ottenuto il risultato, sarebbero stati necessari 33 volumi stampati strettamente di 1000 pagine, ciascuna ottenuta da innumerevoli risme di carta India, per contenere il racconto completo delle sue cifre stampate di unità, decine, centinaia, migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia, milioni, decine di milioni, centinaia di milioni, miliardi, il nucleo della nebulosa di ogni cifra di ogni serie contenendo in breve la potenzialità dell’essere elevata all’estrema elaborazione cinetica di qualsiasi potenza di qualsiasi delle sue potenze”.

Ecco, mi chiedo se anche io non faccia poi parte di quella fetta di umanità cui le equazioni non sono risolvibili o, se lo sono, il risultato è comunque imperscrutabile.

Speravo davvero che, stavolta, l’equazione, seppur nella complessità della sua elaborazione, avrebbe funzionato.

E invece poi va sempre un po’ così: nel mio piccolo ed infinito mondo quantistico, non riesco davvero a rassegnarmi all’idea di come, certe equazioni, non tornino mai.

Notti di straordinaria buffezza

Ascoltando canzoni terribilmente leggere

Serate come questa meritano almeno qualche riga: per ricordare e ridere, ancora un po’.

Ancora un po’.

Non faccio altro da ore.

La serata di per se,  non ha forse nulla di particolarmente diverso dalle altre 1000 in cui i piedi non smetterebbero mai di ballare.

Però stanotte ridevo, ridevo, ridevo di quel riso funambolo, a metà tra un film comico ed un tipo di felicità, dovuta assolutamente a nulla.

NO, non è stato l’alcol.

Notti come queste non hanno bisogno di una colonna sonora: o forse proprio non la puoi trovare una colonna sonora per notti come questa, tanto, la serata, è stata così piena di tutto.

Ci vorrebbero mille canzoni,  o almeno quasi quante ne ho ascoltate da quando ho ripreso il motorino, abbracciando per la seconda volta in una settimana il buttafuori che ormai mi riconosce quando arrivo, e soprattutto quando vado via, pretendendo di partire sempre e comunque senza togliere la catena.

E da sola ridere. Ripensarci e ridere.

E con lui ridere.

E di nuovo, mettersi in moto, verso casa, e continuare a ridere.

Fermarsi da sola al bar, per cappuccino e bollente cornetto alla crema, e si, ancora, immancabilmente, ridere.

Guardare la bariste polacche con un fare vagamente stalinista.. e ridere.

Salutare, seduto ad un tavolino,  un solitario sconosciuto che ti ha seguito con lo sguardo “Buonanotte anche a te”, e si, sorridere.

Stanotte credo di aver capito: il mondo è tremendamente buffo. A tratti sa essere gretto e meschino, ma se lo guardi dalla giusta prospettiva, è davvero buffo.

Sono buffe le persone, le cose che accadono.

E sono buffi i ragazzi che credono che tu non sai, i ragazzi che non sanno che tu senti, eccome se senti, e senti molto più e meglio di loro.

I ragazzi sono buffi e se ne trovano di tutti i tipi.

I più simpatici sono i Collezionisti: i tipi che ti devono conquistare, che ogni weekend vanno a caccia di prede, altri passano ore in chat, a caccia di ragazze con cui farsi video ( non ho capito bene se per praticare in seguito sano autoerotismo e per caricarli su Youporn e farsi applaudire da una manica di sfigati) . A titolo puramente chiarificativo non ho nulla contro i video amatoriali, ma miseria, spererei di tenere certe forme di erotismo a dimensioni quantomeno più intime e private.

Tentano con nonchalance di farti sentire splendida, riempiendoti di vuoti complimenti pensando di aver davanti una ragazzetta fragile e bisognosa di amore: lo vedi il loro sguardo quando improvvisamente, vagamente narciso, si dicono “Ok, è quello giusto, agganciata”.

E tu abbassi il tuo e fai la timida.

Perché se davvero riuscissero a guardarti, se davvero ti vedessero, se davvero ti leggessero, capirebbero che non hai abbassato lo sguardo per timidezza, ma per non ridere. E magari ci giochi anche un po’ con loro, senza malizia, giusto per tenerti  impegnata un po’ di tempo ( un’ora, una settimana e anche due) tra una risata e l’altra.

Non hanno interesse, né forse tanto meno le capacità, di leggere tra le pieghe del tuo sorriso, che vorrebbe solo comunicargli: “dai, ti puoi fermare, sei splendido anche senza tutte queste moine, sei unico anche se non te ne porti a letto una ogni sera, sei figo anche se non mi emozioni poi cosi tanto”.

Ci sono poi i Trombadores del weekend, spesso in libera uscita da relazioni stanche che sono capaci di dirti che non hanno mai conosciuto una tipa splendida come te e che amano la loro donna alla follia nella stessa frase e senza intervallo alcuno.

Ci sono quelli che ti devono riempire di bugie per forza sempre e comunque, anche se tu neanche gli hai ancora chiesto come si chiamano . E neanche glie lo chiederai.

Ci sono i Quanto so figo, quelli la cui migliore presentazione,  dopo neanche 27 secondi di conversazione “  Siamo grandi, tu mi piaci, io sono uomo, sei donna, andiamo a casa mia.“

C’è anche chi ti dice “ andiamo a casa tua”, ma a quelli veramente, lo sguardo timido non riesco proprio a farlo ed esplodo puntualmente in una fragorosa risata senza neanche lo scrupolo che si sentano un po’ cretini.

Anche perché i ragazzi quasi mai si sentono cretini.

Sarà, io mi ci sento spesso:  mi vedo buffa, faccio cose buffe, dico cose parecchio assai buffissime, ma raramente direi cose così cretine: “A casa mia? T’ho visto mezzo nanosecondo, nun me ricordo manco come te chiami e non so manco se me lo hai detto, e tu mi chiedi di venire “ A casa mia”?

E ce ne sono tanti altri ancora.

Ieri un ragazzo mi ha chiesto “ Non hai paura di rimanere sola?”.

No. Non ho paura, avrei voluto aggiungere anche che la mia buffezza già da sola basta e avanza, di uomini buffi a farmi compagnia per poche ore ne faccio volentieri a meno.

Intendiamoci, la solitudine non è bella, quasi mai.

Intendiamoci, se non sono troppo buffi, magari anche la compagnia di poche ore può diventare una situazione piacevole. Anche senza conoscersi, si può dare valore all’essere umano che ti ha scaldato una notte, con passione, o tenerezza, o tante risate. Si, si può e credo si debba ringraziarlo, quantomeno omaggiandolo con un bel ricordo da portarti dentro, e, certamente, un sorriso.

Emozioni. Sembra che siamo rimasti in pochi a sapere cosa siano, quale potenza creativa, quale forza primordiale riescano a sprigionare.

Emozioni:  queste sconosciute, così tanto confuse con l’ eccitazione ( e non parlo di quella sessuale), il desiderio e mille altre.

Mi chiedo, quanto tutta questa gente non sappia di perdersi barattando la propria umanità  per la pochezza di una tristissima e squallida notte di sesso.

Io per fare l’amore mi devo emozionare. Per fare sesso mi devo emozionare. Io non sono una bicicletta, non è che “giri le ruote e pedalo.”

Emozioni, così rare che si ha paura, non solo davanti alle proprie, anche davanti all’emozione dell’altro.

Impauriti, confondono la tua emozione con una fragilità, una debolezza, se non anche per una forma di violenza, quasi pensassero che attraverso questa, potessi derubar loro l’anima.

Ingenua quest’ orda di mediocri,  brancolante in un mondo così spento, così banale, così uguale a se stesso.

Io sono emozionabile.

Io mi emoziono e non mi importa che sia per un una notte con un tizio qualunque che mi ha fatto tanto ridere, per una poesia, per una musica sensualissima, per un lettera inaspettata.

Non c’è aspettativa nella mia emozione. C’è solo una potente meraviglia.

Io mi emoziono e non ho bisogno che l’altro faccia altrettanto per sentire improvvisamente e contemporaneamente tutta la bellezza e la buffezza del mondo.

Io mi emoziono e basta.

Non ho paura di mostrare la mia tenerezza, fosse anche per una notte soltanto e poi mai più.

E no, non ho paura di rimanere sola perché so, che fin quando sarò in grado di sentire con questa intensità , di emozionarmi e di vivere con pienezza tutta la sorpresa di questa vita strampalata che è la mia, di sentire la magia e di crearla, sarò sempre in splendida compagnia. Ben più splendida di un fidanzato tristemente borghese, di un marito annoiato, di notti random con tizi davvero improbabili, di ginnastica erotica per stabilire il record di prodezze di Tantra.

No, non ho paura: non ho paura perché voglio una vita straordinaria, amori straordinari, passioni straordinarie, e non mi accontenterò di niente di meno.

Niente di meno.

Perché me lo merito. 

Perché ce lo meritiamo tutti.

Ero arrivata li con un’amica stasera, era bellissima: si meritava una bellissima serata e l’ha avuta.

Indossavo il mio buffo sorriso stasera, era verissimo.

E si, magari “sola”, ma io stasera, non so come spiegarvelo, ma ero proprio, davvero, sinceramente ed onestamente felice.

Non rileggo, non correggo ( avrò scritto la parola emozione un numero improbabile di volte), ma perdonate, è ormai giunta l’alba da un pò, vado ad immergere, sorridente, la testa nel mio buffissimo cuscino, che stasera, ha assunto una vaga e strampalata forma di cuore.

Uno scatto da conservare.

Una di quelle giornate in cui il cervello è un frullatore, quando hai bisogno alla fine di mettere insieme una serie di pensieri scollegati, arruffati, in completa entropia. Ti pesi la vita e realizzi che è caotica si, ma in fondo leggera, come piace a te.

Nonostante tutto. Nonostante il mondo fuori che fai ancora così tanta fatica a capire ma davanti al quale, non ti arrendi. Nonostante una famiglia sgretolata, nonostante la lontananza dai tuoi affetti per anni, in paesi stranieri, nonostante la durezza del percorso per studiare, laurearti, per mantenerti. Nonostante quando te ne andasti via di casa a 18 anni, tutti ti dicessero che da sola non ce l’avresti fatta, nonostante tu abbia passato anni ad accudire una persona affinché non si disintegrasse, mettendo da parte un po’ te stessa, nonostante la morte di tuo padre.

I miei più cari amici, hanno sempre dimostrato un’affettuosa preoccupazione per le mie scelte così fuori da schemi logici comuni, e mai a nulla è servito cercare di tranquillizzarli. Gli amici, quelli con cui hai un legame profondo, tutto sommato, si preoccupano. Alla fine devo dire, si sono sempre arresi davanti alle mie sgangherate, metodiche convinzioni. Di questo li ringrazio, perché loro lo sanno, quanto io sia lenta dentro, e sanno anche bene quanta tenacia ci sia  quando decido che la strada,  anche se “ la meno percorsa”, la percorrerò tutta d’un fiato.

Ci volessero anni.

Ci volesse una dose massiccia di dolore. Non credo serva a nulla esplorare ciò che già si conosce.

Io non ho paura.

Ed ecco qui, che ancora mi avventuro nel mondo, in modo un po’ impacciato, con l’unico bagaglio che ho, una manciata di sorrisi. Che si, è anche vero, ogni tanto te lo perdi, il bagaglio, ma accade, nei lunghi viaggi. E’ un bagaglio leggero. Trovi sempre qualcuno pronto a rendertene un altro per rimetterti in viaggio.

Mi è sempre piaciuto viaggiare in autostop. Ed accadono cose stranissime, anche buffe, su questa strada piena di curve. Conosci persone così simili a te, persone così diverse. Conosci musica che non pensavi potesse mai essere scritta, o anche solo immaginata, tanto è bella; forme d’arte dell’anima che puoi solo stare ad ammirare in silenzio e ad occhi spalancati, tanto tolgono il fiato. Trovi una bellezza smisurata, sentimenti nobilissimi, ma anche la miseria, la grettezza, l’incomprensione, la distanza.

Eppure quando viaggi le misure che ti definiscono la vita sono assai più misteriose degli schemi in cui più o meno ognuno di noi finisce per costringersi, pur odiando le definizioni. Quando stai fermo, per esempio, il cinismo, la noncuranza, le bugie, l’oltraggio del cuore, spesso feriscono. Quando esplori e sei in cammino, semplicemente, alle emozioni tue e degli altri,  fai fotografie. Rimangono, rimangono si, sono vere, perché tu li c’eri. Tuttavia non le temi, e piuttosto che evitarle, le cerchi, perché quello scatto, proprio ti manca, proprio quello li.

..E vuoi davvero fotografarli gli occhi di quella persona così ammaccata, dolorante e ferita, perché il tuo fine è esplorare per aggiungere un altro scatto a quell’album di consapevolezza che custodisci dentro. E vuoi davvero fotografare i tuoi occhi, quando la bellezza e il dolore, indifferentemente, li schiudono di lacrime.

Un altro scatto. Scatto dopo scatto. Sperando che alla fine di questo viaggio, quando sarai costretto a fermarti, l’album ti svelerà la soluzione o la non esistenza della soluzione.. Ma ne sei certa, a qualcosa quel’album servirà. Se non altro per darlo a tuo padre, un grande fotografo che solo da poco si era messo in viaggio, dopo una vita passata a fotografare con estrema bravura, ma immobile, le stesse cose, le stesse emozioni.

Ecco che in questo viaggio, tendi la mano a sconosciuti, per ringraziarli di quel breve passaggio in autostop, apri il tuo piccolo bagaglio, e con la mano cicciottella che è la mia, prendi uno di quei sorrisi, e glie lo offri, sperando accettino questo umile ma sincero contributo, quantomeno alla benzina. E accade spesso che qualcuno il sorriso te lo tiri dietro, come anche il contrario, che lo indossino subito e che con aria leggera, ti salutino con la mano mentre scendi dalla macchina.

Mi piace parlare con le persone, mi è sempre piaciuto. Sono una gran chiacchierona. Se trovassi qualcuno che avesse la mia stessa voglia di parlare passerei giorni e notti intere a colorare le parole, insieme, come un quadro a due mani. Fino a stramazzare per sfinimento da deprivazione di sonno. Si, mi piace. E succede. Si succede. Insomma,  a dirla tutta passano gli anni e succede sempre più raramente, nonostante il mio divano sia sempre un generosissimo ospite di avventori della vita. Le persone che incontri sono un po’ più dure di quando hai iniziato il viaggio tanti anni fa.

La vita lo fa: se non stai attento, ti indurisce.. E si parla sempre di meno, per sfiducia forse, per paura, per puro e semplice disinteresse all’altro credo. Piuttosto, l’altro, lo si preferisce inventarlo, inventarsi i suoi pensieri, virtualizzarlo, così che l’immagine riflessa delle cose che abbiamo rimanga uguale a se stessa e non scuota, né porti scompiglio all’immagine che abbiamo di noi stessi e degli altri.  Poi con la più recente introduzione del parallelo mondo virtuale che ci ha un po’ tutti catalizzati e haimè, me compresa, galvanizzati, le cose vanno anche peggio. Il fatto è che nonostante la mia incredibile quanto folle apertura al mondo circostante, la mia introversione spesso mi impedisce uno scambio generoso e sincero di pensieri con l’automobilista di turno. Mi limito a fare uno scatto.  Come dire, senza permesso, non parlo. Sono cresciuta cosi, con questa forma di educazione alla non invadenza dei pensieri. Una forma di gentilezza, di pudore.

Mi chiedevo oggi se vita abbia indurito così tanto anche me e credo che sebbene abbia lasciato parecchie, e talvolta profonde cicatrici, in fondo, ha voluto farmi questo regalo, questo bagaglio, questo gruzzolo infinito di sorrisi che mi rende ancora capace di provare tenerezza, belle emozioni e amore.

Amore si. Forse l’emozione alla quale fino ad ora io sia riuscita a fare meno scatti per il grande album.  Ci sto lavorando. Perché è assai difficile fare una fotografia all’amore. E’ cosi tanto diverso per tutti. E’ anche così raro. Io me la sono fatta un’idea, ma forse ho davvero troppi pochi scatti ed il viaggio è ancora tanto lungo e temo accidentato. Ho una manciata di foto che mi raccontano l’amore mio e degli altri, così variegate da non riuscire a venirne a capo.

“Io non conosco l’amore, se si affacciasse non lo riconoscerei. Per conoscerlo dovrei prendere una bella sbornia.”

Ecco, forse, la ragione dei miei due bicchieri di vino, offertimi dall’oste di turno. Credo l’amore si avvicini molto ad una forma di cura, ma anche alla volontà, la volontà di sostenersi.

L’amore per me è un mulo: Un “Mulo” si.

Wikipedia: “costituzione assai forte e robusta, rusticità, la resistenza alle malattie, l’adattabilità ad ambienti sfavorevoli”. La caparbietà” del fino alla fine. Qualunque sia il percorso, accidentato o no. E quando sei stanco, il mulo, ti sostiene. Qualunque sia il peso che ha sulla schiena, qualunque sia il peso della tua vita. Fino alla fine.

Io cerco di viaggiare leggera, così che se mai un mulo che conoscesse il mio nome passasse di qui per farsi fare una fotografia, non avrebbe da sostenere troppo, e chissà, il viaggio sarebbe meno faticoso. Si potrebbe parlare più di sogni, piuttosto che lamentarsi, raccontarsi cose divertenti, ridere, piuttosto che asciugarsi il sudore ad ogni passo. Chissà, magari il viaggio sarebbe un po’ più lungo, e quando ti diverti, il tempo comunque passa in fretta, ed è sempre troppo poco.

C’è che ai muli oggi giorno si preferiscono i cavalli, più belli, indomabili, seducenti, delicati, attraenti, fieri. L’ umile ma resistente ed altrettanto affettuoso mulo non se lo fila nessuno. Semplicemente lo sguardo tende a posarsi su forme esteticamente idealizzate, piuttosto che sulla semplicità del quotidiano, di chi ti tende una mano.  Pare sia umano, dicono, ma io questa serie di scatti ancora non l’ ho completata, quindi non citatemi. Per me, tutto il resto è desiderio, senza nulla voler togliere a quest’altra bellissima e complessa emozione (di questa ho tantissimi scatti, è parecchio comune), indi per cui, non interessante ai fini della di cui sopra solitaria e del tutto speculativa discussione.

Tutto questo per ringraziare i miei amici, i miei affetti, più o meno consolidati, vicini e lontani, per dir loro che ho un album pieno di loro foto nel mio cuore, di stare tranquilli, perché cercherò sempre, anche solo con la mia reflex interiore, di collezionare questi incredibili momenti che ho avuto la fortuna di condividere con loro. Un piccolo tesoro indelebile che semmai dovesse loro servire, custodirà tutti i loro sorrisi, insieme ai miei.

Mio fratello. Gibbo. Valentina, Giorgia, ManuManu, Sandra, Ilaria, Angela. Lorenzo. Tyson. Alessio, Eugenio, Marco, Stefano, Paolo, Luciano. Gaetano ed i Pirati. Daniele e il Tetto tutto. Lella e Raf, Valerio, Giamba, Poppy e Mina.

Simon, Phil, Diego, Ian, Paul, Edoardo. Emiliano e anche quello stronzo di Pippo. Matteo,  Luciano, Gabriellone. Marco, Mario, Viola, Federico, Alex. Virginia, Nandosan, Guido Jedi Spega, Papero, Mara, Il Grinch e questo cesso di WordPress.

Immagine

A voi, ed a tutti quelli che vorranno uno scatto del cuore da conservare, un passaggio sul mulo, un sorriso.