Mi vedi, Florinda?

Di tanto in tanto mi rabbuio per le chat sciatte e insulse con superuomini di turno. Poi ci sono notti in cui riesci a comunicare, a sentire, ad immaginare e non sai neanche come ma quel veleno, quel piccolo dolore, quel maledetto punto interrogativo, lo tiri fuori. Qualcuno che sa sentire, qualcuno che sa ascoltare. E fai pace infine ed inaspettatamente, con un pezzo di mondo.

“A: Hai presente quella sensazione che ti da lo champagne buono il primo mezzo bicchiere?

E: Ni. Raramente ho bevuto champagne. Una questione di sopravvivenza.

A: Ma quanti gamberi ci sono a Mazara e i pistacchi di Bronte poi?

E: Secondo me tantissimi. Puoi raccogliere gamberi da splendidi alberi e pescare ottimi pistacchi in Sicilia, è una terra generosa.

A: Si dice così?

E: Si.

A: ops…e ora…Chi e’ sta zoccola che mi scrive nell’altra chat? Ma tu non sei gelosa.

E: Già.

A: E tu in tutto questo dove sei, corporea ed evanescente, tu con le tue preoccupazioni, le tue aspirazioni, la tua vagina glicemica ed intelligente, i tuoi rodimenti di culo?

E: Sto studiando per esorcizzare le preoccupazioni e i rodimenti di culo. Ogni tanto ti leggo e piango.

A: Chi siamo?

E: Forse il racconto che ci commuove.

A: Mi sai dire veramente chi siamo e sapresti dirmelo davanti ad un bel piatto di pasta alle cozze e vongole?

E: No, ma se servisse al tuo secondo romanzo potrei fingere di saperlo.

A: So du kili in più, che faccio, lascio, Signo’?

E: Lasci pure.

A: Tantissime cose urgono, tutte un po’ retoriche e tardo romantiche, come chi posta le foto dei gattini con gli aforismi di fabio volo. O chi posta una papavero ed una farfalla che ti guarda con le ali, suggerimenti intimi e genitali, femminei troppo femminei. E mi sento in colpa perché non riesco a chiudere mille conversazioni con mille donne sole, quando forse dovrei parlare solo con te.

E: …

A: Puntavano i piedi, ma volevano solo essere viste. E tu, mi vedi, Florinda?

E: Uomini, donne, categorie. Necessità di definire, di definirsi. Trovare un posto, il proprio posto, conoscere per capire, capire per conoscersi. Ed infine, emettere un giudizio per siglare con un atto irrevocabile, un testamento identitario, chi siamo, o forse dovrei scrivere, chi abbiamo deciso di essere ai nostri stessi occhi e a quelli degli altri. .

Perché alla fine siamo tante cose ma per qualche motivo, lasciamo che il nostro stesso giudizio ci ritagli, ci mutili, ci amputi.

Ho passato una vita a sezionare e scartare pur di definirmi.

Non so poi quando sia successo, mi sono svegliata una mattina, infelice, imprigionata, delusa ed ho pensato a mio padre. Un uomo arrogante, solitario, geniale, arrabbiato. Un uomo sensibilissimo che per tutta la vita ha cercato rabbiosamente di determinare chi fosse senza veramente riuscire a sentire il suo valore. Un uomo che sono riuscita a “vedere” veramente solo quando se ne è andato via all’improvviso a 59 anni.

Mio padre era tante cose, eppure per la maggior parte della mia vita, ho visto in lui solo una parte dell’uomo che era. Non ho parlato con i miei genitori per la maggior parte della mia vita. Il periodo più lungo, 7 anni. Oggi so che sono stati entrambi, per me, due esemplari straordinari di complessità, forza, umanità e fragilità. Li vedevo come due genitori imperfetti, come una coppia mal assortita, ma era la categoria in cui li avevo io stessa relegati che non mi permetteva di guardarli nella loro interezza e nella loro personalissima, fragilissima bellezza di esseri umani. Imperfetti, eppure così perfetti per me.

Credo di aver accettato in quel momento di essere tante cose. Ho tolto la maschera: quando l’ho fatto, non era rimasto nulla da giudicare, né di me, né di altri. C’ero solo io, con quello che sento, nel bene e nel male, ma decisa a non rientrare più in quella prigione fatta di inutili certezze e comode illusioni.

Sono dolce, sono emotiva, sono sensibile, un angelo.

Sono dura, tagliente, cinica, severa, arrogante, una troia.

Sono. Una parola che usiamo spesso, che uso spesso. Un verbo tanto utile quanto pericoloso. Ci invita urlando a fare una scelta, a scegliere un ruolo.

Si ha paura, in fondo, ad essere tutto. Nel tutto, nelle infinite possibilità, anneghiamo. Non si può esimere “tutto” dal giudizio.

Ti chiedi se scegliere di essere un monaco buddista o un vizioso Jean.

E se la soluzione fosse non scegliere nulla. E se la risposta si rivelasse nello scegliere di essere tutto. E se la serenità si trovasse nell’accettare che possiamo scegliere di essere qualunque cosa ed il suo contrario.

Non vorrei morire pensando a chi sono stata, piuttosto a quanto ho sentito.

Certo, ha un prezzo. La stadera varrà per tutti, ci metterà di fronte esseri umani con la nostra stessa complessità, che non potremo costringere in una categoria, che non potremo definire, a cui non potremo chiedere di essere, ma solo di sentire. Qualcuno ci presenterà sempre il conto, un inesorabile ed inconfutabile giudizio. Quanto siamo disposti a pagare per la nostra libertà, per la nostra interezza?

Mi hai chiesto “ Mi vedi Florinda?”.

Ti rispondo “Vuoi davvero essere visto?”

Pensaci bene. Oppure vuoi che veda solo l’uomo che hai ritagliato per te stesso?

Io non voglio essere vista. Non da questa umanità, da occhi giudicanti, da maschere inconsapevoli e ben ancorate ad inutili punti fermi su un pianeta in costante rotazione, un universo in rapida espansione e danzante nell’entropia.

Non siamo pronti per vedere. L’impellente, inarrestabile desiderio di definire finirebbe per farci a brandelli, per fare l’altro a brandelli. Usiamo l’altro come uno specchio, una bilancia per dirci quanto siamo belli, quanto siamo brutti, per misurarci, per pesarci, ma l’altro, raramente lo vediamo, così presi dall’ urgenza di autodefinirci.

E poi cambiamo. Cambiamo e il cambiamento ci confonde, siamo costretti a ridefinirci, a ricominciare a sezionarci.

Personalmente sono stanca di tutto questo inutile autolesionismo. Voglio imparare ad accogliere, ad abbracciare, ad unire, che sia me stessa o l’altro. Vorremmo tutti essere amati. Forse più di tutto vorremmo che di noi si amasse il bambino che ci portiamo dentro, inascoltato, incompreso, lasciato li in un fazzoletto di cuore a giocare da solo.. ma del bambino dovremmo anche accettare l’intemperanza, la lunaticità, l’insofferenza, la volubilità.

Allora forse la vera domanda non dovrebbe essere “ Mi vedi?” ma piuttosto

“ Vuoi giocare con me, nonostante me?”.

Perché l’universo non avrà pietà di noi.

Immagine di Vladimir Fedotko

L’ultima lettera.

Ascoltando Niccolò Fabi: Scotta.

Sono giorni che provo a scrivere, scrivere mi ha sempre aiutato a chiarire i movimenti del mio cuore, da sempre così ben corazzato, al punto che io stessa fatico spesso a decifrarlo.

Credo si tratti di lutto. Della realizzazione che qualcosa è andato perduto. 

Qualcosa si è spento, qualcosa mi ha lasciato, e con esso la speranza che ritorni. E non è la sua mancanza a far male, ma l’idea che quel tipo di felicità, non ti appartenga più. Non un uomo, piuttosto un’idea, effimera come un sogno. 

Avevo una lunga lista di desideri da ragazza, una lista che rileggevo spesso per essere certa di non perdermi. A parte forse cappello e borsa originali della Poppins, credo di averli realizzati tutti, sebbene alcuni in qualche forma di declinazione che seppur inaspettatamente, comunque mi appartiene.

“Un buffetto sul sedere a 80 anni”.

Matematica alla mano, ho ancora qualche anno per provarci, mi dico, ma le parole ed il cuore stavolta, sono in disaccordo. 

A chi mi dice che sono ancora giovane, che ho ancora tempo, vorrei rispondere: “ Ma è davvero di tempo che si tratta?”.

O la consapevolezza che piuttosto, non sia mai stato facile per me?

Non cercavo la perfezione, cercavo la magia.

E’ così rara, la magia, al punto che a volte, seppur molto poco di frequente, mi sono illusa di averla trovata.

Ora so, che se magia c’era, non apparteneva ad altri se non a me. 

E’ doloroso, e sebbene mi ripeta che in fondo ad ognuno spetti in fin dei conti una dose di tristezza, la consapevolezza non aiuta a lenire la pena. 

Adulta forse, ma ancora così piccina in fondo, con una piccola valigia dove non è rimasta che una piccola bacchetta. 

E’ magica, mi dico. E’ magica, lo so. 

E’ tutto ciò che vi ho lasciato riposto. Ho gettato via le lunghe lettere d’amore che sin da ragazza e per molti anni scrivevo ad uno sconosciuto. 

Per lui, per anni, ho raccolto poesie, fotografato arcobaleni, riposto libri che avrebbe dovuto leggere, che si, gli sarebbero piaciuti, dischi e musica, immagini di posti dove con lui avrei voluto tornare.

Era pronta la valigia, pronta a partire per un viaggio fatto in due. Sarebbe stato lungo, mi dicevo, ma mi sarei accontentata di qualche anno in meno, se entrambi fossimo stati così “distratti” da non riconoscerci subito. 

Poi è successo che un giorno, ho semplicemente smesso di crederci. Ho svuotato tutto, parole immagini, pensieri, emozioni, sogni, ma la bacchetta no, quella magica bacchetta non sono riuscita a gettarla via. 

In quella valigia ho lasciato solo un piccolo desiderio. Che se doveva essere, sarebbe stato magico.

Imperfetto, ma magico. 

Malandato forse, ma pieno di poesia. 

Io che vesto di nero, ho comprato un vestito rosa per te. 

Un abito che non potrei vestire con nessun altro se non con te, che vedendomelo buffamente indossare, non avresti alcun imbarazzo e che piuttosto mi sussurreresti che si, è bello “Ma manca qualcosa Due grandi ali bianche e la bacchetta magica che hai riposto in quella valigia”. Tu lo sapresti, Tu le vedresti, tu me le porteresti. 

Quelle improbabili ali bianche che così forte sento e che non so vedere. 

Ed uscire finalmente, mano nella mano, passeggiare lungo una spiaggia, in un pub, in un posto qualunque, in giro per la mia amata Roma, maldestramente inciampando sui sampietrini con i tacchi e sentirmi bella per te, con te. Con sfrontatezza, reciprocità e sublime sconcezza. E di nuovo volare. E di nuovo respirare. 

Sono qui a scriverti che avrei voluto incontrati prima, per regalarti la mia giovinezza, un corpo più bello ed un cuore ancora capace di tenerezza. Sono qui a scriverti che ti ho cercato a lungo ma temo che la vita mi abbia distratta, o forse, si sia distratta lei. 

Ho due cani, vivo sola in una piccola casa, ma comoda per due. Ho piantato dei fiori e attendo sempre con ansia la primavera, quando i loro colori, per qualche tempo, riescono a farmi dimenticare l’amarezza e portano via la nostalgia.

Ed eccomi qui, stanca, indurita, impenetrabile, imperfetta, con gli anni che volano via e senza alcuna certezza che quella mia bacchetta, quel cimelio riposto da qualche parte nel mio cuore, sappia ancora, in qualche modo funzionare, ma con un giardino pieno di fiori. 

Ti ho cercato, e credimi se ti dico che in rare occasioni o pensato di scorgerti negli occhi di qualcuno. 

Non essere geloso, in qualche modo, dovevo pur decifrare i segnali, in fondo, non ho mai saputo il tuo nome. 

Così forse non ci troveremo, ne mai ci incontreremo, ma ti scrivo stanotte per dirti che ti ho braccato ferocemente, nella mia vita, nei mie viaggi, in ogni stazione, in ogni remoto aeroporto, nelle mie fotografie. 

Ti scrivo per dirti che avevo una valigia piena di cose per te ma che si, alla fine, mi sono arresa. 

Ora non mi resta altro che una piccola bacchetta, per ricordarmi che non si deve mai smettere di cercare la magia, anche se certi incantesimi, non funzionano più. 

Anche se certi incantesimi non funzioneranno mai. 

Sono qui a scriverti che mi rimangono solo pochi anni per realizzare il mio ultimo desiderio:  “ un buffetto sul sedere a 80 anni”. 

Sono qui a scriverti che no, non è il tempo a farmi paura, ma i miei limiti. 

Sono qui per dirti che sono stanca, che se per tanti anni ti ho cercato, ora dovrai farlo tu.

Sono  qui a dirti che sarà difficile riconoscermi, tanto sono cambiata, eppure da qualche parte nell’universo, non più giovanissima, possiedo ancora la mia bacchetta. 

E dato che non conosci il mio nome, né il mio volto, non cercare quella donna che avevi immaginato per te tanti anni fa.

Cerca la magia con la magia. 

Allora forse, malandati e non più giovani, con il cuore pieno di cicatrici, ci riconosceremo. 

E se non dovesse essere, non sarà poi la fine del mondo. Se “la felicità è un momento di distrazione mentre la mano sul fuoco scotta”, in questa vita sono stata sbadata il giusto. 

“Allora si aspetta di essere cercati di nuovo e si resta a occhi aperti di notte, aspettando il passo di chi torni a reclamarci. Ma, nessuno torna e dopo il giusto tempo si è di nuovo se stessi, sciolti dal possesso, liberi perché si diventa liberi dopo essere stati perduti”.

Erri De Luca

Notti di straordinaria buffezza

Ascoltando canzoni terribilmente leggere

Serate come questa meritano almeno qualche riga: per ricordare e ridere, ancora un po’.

Ancora un po’.

Non faccio altro da ore.

La serata di per se,  non ha forse nulla di particolarmente diverso dalle altre 1000 in cui i piedi non smetterebbero mai di ballare.

Però stanotte ridevo, ridevo, ridevo di quel riso funambolo, a metà tra un film comico ed un tipo di felicità, dovuta assolutamente a nulla.

NO, non è stato l’alcol.

Notti come queste non hanno bisogno di una colonna sonora: o forse proprio non la puoi trovare una colonna sonora per notti come questa, tanto, la serata, è stata così piena di tutto.

Ci vorrebbero mille canzoni,  o almeno quasi quante ne ho ascoltate da quando ho ripreso il motorino, abbracciando per la seconda volta in una settimana il buttafuori che ormai mi riconosce quando arrivo, e soprattutto quando vado via, pretendendo di partire sempre e comunque senza togliere la catena.

E da sola ridere. Ripensarci e ridere.

E con lui ridere.

E di nuovo, mettersi in moto, verso casa, e continuare a ridere.

Fermarsi da sola al bar, per cappuccino e bollente cornetto alla crema, e si, ancora, immancabilmente, ridere.

Guardare la bariste polacche con un fare vagamente stalinista.. e ridere.

Salutare, seduto ad un tavolino,  un solitario sconosciuto che ti ha seguito con lo sguardo “Buonanotte anche a te”, e si, sorridere.

Stanotte credo di aver capito: il mondo è tremendamente buffo. A tratti sa essere gretto e meschino, ma se lo guardi dalla giusta prospettiva, è davvero buffo.

Sono buffe le persone, le cose che accadono.

E sono buffi i ragazzi che credono che tu non sai, i ragazzi che non sanno che tu senti, eccome se senti, e senti molto più e meglio di loro.

I ragazzi sono buffi e se ne trovano di tutti i tipi.

I più simpatici sono i Collezionisti: i tipi che ti devono conquistare, che ogni weekend vanno a caccia di prede, altri passano ore in chat, a caccia di ragazze con cui farsi video ( non ho capito bene se per praticare in seguito sano autoerotismo e per caricarli su Youporn e farsi applaudire da una manica di sfigati) . A titolo puramente chiarificativo non ho nulla contro i video amatoriali, ma miseria, spererei di tenere certe forme di erotismo a dimensioni quantomeno più intime e private.

Tentano con nonchalance di farti sentire splendida, riempiendoti di vuoti complimenti pensando di aver davanti una ragazzetta fragile e bisognosa di amore: lo vedi il loro sguardo quando improvvisamente, vagamente narciso, si dicono “Ok, è quello giusto, agganciata”.

E tu abbassi il tuo e fai la timida.

Perché se davvero riuscissero a guardarti, se davvero ti vedessero, se davvero ti leggessero, capirebbero che non hai abbassato lo sguardo per timidezza, ma per non ridere. E magari ci giochi anche un po’ con loro, senza malizia, giusto per tenerti  impegnata un po’ di tempo ( un’ora, una settimana e anche due) tra una risata e l’altra.

Non hanno interesse, né forse tanto meno le capacità, di leggere tra le pieghe del tuo sorriso, che vorrebbe solo comunicargli: “dai, ti puoi fermare, sei splendido anche senza tutte queste moine, sei unico anche se non te ne porti a letto una ogni sera, sei figo anche se non mi emozioni poi cosi tanto”.

Ci sono poi i Trombadores del weekend, spesso in libera uscita da relazioni stanche che sono capaci di dirti che non hanno mai conosciuto una tipa splendida come te e che amano la loro donna alla follia nella stessa frase e senza intervallo alcuno.

Ci sono quelli che ti devono riempire di bugie per forza sempre e comunque, anche se tu neanche gli hai ancora chiesto come si chiamano . E neanche glie lo chiederai.

Ci sono i Quanto so figo, quelli la cui migliore presentazione,  dopo neanche 27 secondi di conversazione “  Siamo grandi, tu mi piaci, io sono uomo, sei donna, andiamo a casa mia.“

C’è anche chi ti dice “ andiamo a casa tua”, ma a quelli veramente, lo sguardo timido non riesco proprio a farlo ed esplodo puntualmente in una fragorosa risata senza neanche lo scrupolo che si sentano un po’ cretini.

Anche perché i ragazzi quasi mai si sentono cretini.

Sarà, io mi ci sento spesso:  mi vedo buffa, faccio cose buffe, dico cose parecchio assai buffissime, ma raramente direi cose così cretine: “A casa mia? T’ho visto mezzo nanosecondo, nun me ricordo manco come te chiami e non so manco se me lo hai detto, e tu mi chiedi di venire “ A casa mia”?

E ce ne sono tanti altri ancora.

Ieri un ragazzo mi ha chiesto “ Non hai paura di rimanere sola?”.

No. Non ho paura, avrei voluto aggiungere anche che la mia buffezza già da sola basta e avanza, di uomini buffi a farmi compagnia per poche ore ne faccio volentieri a meno.

Intendiamoci, la solitudine non è bella, quasi mai.

Intendiamoci, se non sono troppo buffi, magari anche la compagnia di poche ore può diventare una situazione piacevole. Anche senza conoscersi, si può dare valore all’essere umano che ti ha scaldato una notte, con passione, o tenerezza, o tante risate. Si, si può e credo si debba ringraziarlo, quantomeno omaggiandolo con un bel ricordo da portarti dentro, e, certamente, un sorriso.

Emozioni. Sembra che siamo rimasti in pochi a sapere cosa siano, quale potenza creativa, quale forza primordiale riescano a sprigionare.

Emozioni:  queste sconosciute, così tanto confuse con l’ eccitazione ( e non parlo di quella sessuale), il desiderio e mille altre.

Mi chiedo, quanto tutta questa gente non sappia di perdersi barattando la propria umanità  per la pochezza di una tristissima e squallida notte di sesso.

Io per fare l’amore mi devo emozionare. Per fare sesso mi devo emozionare. Io non sono una bicicletta, non è che “giri le ruote e pedalo.”

Emozioni, così rare che si ha paura, non solo davanti alle proprie, anche davanti all’emozione dell’altro.

Impauriti, confondono la tua emozione con una fragilità, una debolezza, se non anche per una forma di violenza, quasi pensassero che attraverso questa, potessi derubar loro l’anima.

Ingenua quest’ orda di mediocri,  brancolante in un mondo così spento, così banale, così uguale a se stesso.

Io sono emozionabile.

Io mi emoziono e non mi importa che sia per un una notte con un tizio qualunque che mi ha fatto tanto ridere, per una poesia, per una musica sensualissima, per un lettera inaspettata.

Non c’è aspettativa nella mia emozione. C’è solo una potente meraviglia.

Io mi emoziono e non ho bisogno che l’altro faccia altrettanto per sentire improvvisamente e contemporaneamente tutta la bellezza e la buffezza del mondo.

Io mi emoziono e basta.

Non ho paura di mostrare la mia tenerezza, fosse anche per una notte soltanto e poi mai più.

E no, non ho paura di rimanere sola perché so, che fin quando sarò in grado di sentire con questa intensità , di emozionarmi e di vivere con pienezza tutta la sorpresa di questa vita strampalata che è la mia, di sentire la magia e di crearla, sarò sempre in splendida compagnia. Ben più splendida di un fidanzato tristemente borghese, di un marito annoiato, di notti random con tizi davvero improbabili, di ginnastica erotica per stabilire il record di prodezze di Tantra.

No, non ho paura: non ho paura perché voglio una vita straordinaria, amori straordinari, passioni straordinarie, e non mi accontenterò di niente di meno.

Niente di meno.

Perché me lo merito. 

Perché ce lo meritiamo tutti.

Ero arrivata li con un’amica stasera, era bellissima: si meritava una bellissima serata e l’ha avuta.

Indossavo il mio buffo sorriso stasera, era verissimo.

E si, magari “sola”, ma io stasera, non so come spiegarvelo, ma ero proprio, davvero, sinceramente ed onestamente felice.

Non rileggo, non correggo ( avrò scritto la parola emozione un numero improbabile di volte), ma perdonate, è ormai giunta l’alba da un pò, vado ad immergere, sorridente, la testa nel mio buffissimo cuscino, che stasera, ha assunto una vaga e strampalata forma di cuore.

E l’area del cuore come si calcola?

In matematica non sono brava.

Perdo il conto delle foglie dei rami

e per le stelle ogni volta ricomincio da capo.

Non riesco a misurare il salto delle cavallette

e non so la formula per il perimetro delle nuvole.

Il calcolo di quanta neve sia caduta mi sfugge

e anche di quanta ne possa reggere un filo d’erba.

La somma dei passi per arrivare al mare non mi riesce

e mi chiedo se per il ritorno devo fare una sottrazione.

Ho diviso il numero dei semi per i frutti

il risultato è una nuova foresta e ne avanza qualcuno.

Se moltiplico le giornate di sole per quelle di pioggia

ottengo più di sette stagioni e non so quante settimane.

La matematica mi confonde.

Come misura del mondo è strana.

Per quanti conti si facciano qualcosa non torna mai pari.

Due finestre fanno una vista? quattro muri sono una casa?

Noi siamo i nostri centimetri, chili, litri? quanto pesa un segreto?

quanto misura una risata? e l’area del cuore come si calcola?

Azzurra D’Agostino

Opera: Morimoto Jun

Insonnia


…E come dice Mario, tanto si sente quando c’è aria di blog, e sempre come cita lui:
Che cos’è l’insonnia se non la maniaca ostinazione della nostra mente a fabbricare pensieri, ragionamenti, sillogismi e definizioni tutte sue, il suo rifiuto di abdicare di fronte alla divina incoscienza degli occhi chiusi o alla saggia follia dei sogni? L’uomo che non dorme si rifiuta più o meno consapevolmente di affidasi al flusso delle cose“

Memorie di Adriano

Dormo poco.
Mi accade spesso, soprattutto nei momenti della vita nei quali mi sento felice.
Non è successo nulla di nuovo, nessun amore, nessun nuovo lavoro, niente di nuovo.
Non dormo, ormai sono più che dei mesi. Come se tutta questa felicità mi obbligasse a vivere voracemente anche i momenti più silenziosi e notturni, quando posso fare una carezza in più alle mie belve, quando posso occuparmi di progetti fantasmagorici e bizzarri come forni galattici per fare biscotti in orbita spaziale, quando posso ascoltare la musica a tutto volume in cuffia guardando fuori un cielo stellato che mette paura tanto è bello, quando posso sperimentare la ricetta di una nuova torta, quando posso scrivere, scrivere sul blog, pensare alla prossima favola che scriverò, quando posso leggere, quando posso ricordare bene, ricordare meglio, mettere a fuoco tutto, la giornata, le settimane, o anche un solo attimo, decisivo, che sembrava essere andato perso.

La mia insonnia è una benedizione e paradossalmente rende le mie giornate più intense.
Una persona che ho amato, ormai in un passato remoto tanto passato da sembrare trapassato, usava chiamarmi H24.
Uno dei tanto nomignoli affettuosi affibbiatomi dai miei più cari amici negli anni ed anche uno di quelli che ho sempre tenuto caro ed indossato con un certo orgoglio.
Perché quando non dormo, io lo so: so che sono felice, so che voglio vivere e che allo stesso tempo non ho paura di morire, che se morissi ora, morirei davvero contenta, e se proprio fosse ora ( se ci penso rido) morirei avvolta nel piumone a mo di esquimese nonostante temperature ancora tiepidamente rinfrancanti, con la sigaretta di Jigen in una mano e la tazza di latte e orzo caldo nell’altra in omaggio al mio papà.
Se mi trovassero domani, si troverebbero davanti un buffo cartone animato con il sorriso sulla faccia e davvero troppe poche ore di sonno.

Sono felice e so che poiché non dipende da nulla, nulla potrà portarmi via questo pezzetto di mondo nel quale oggi camminavo a testa alta, con il sorriso e la curiosità di una bambina con il cestino pieno di meraviglie sconosciute, tutte da scoprire e catalogare, raccolte qua e la, durante le perlustrazioni diurne e notturne.

So bene che non sarà cosi per sempre, che così come ci sono stati, torneranno anche i momenti decisamente no.
So bene che quando chi sceglie, come me, di vivere la vita con intensità e passione, deve inevitabilmente pagarne il prezzo con emozioni di portata mastodontica, e questo vale tanto per la felicità quanto per la tristezza.

Eppure nulla mi toglie dalla testa di essere una persona incredibilmente fortunata, con la possibilità di emozionarsi sempre e comunque, solo facendo un piccolo salto a piè pari dentro me stessa. Ovunque mi trovi. Magari con una bella, bellissima canzone nella testa, a tutto volume, che mi distrugge le orecchie, si insidia nel cervello e mi tocca il profondamente l’anima.

Quando ero “più ragazza” pensavo che si, belle le emozioni, ma se poi non trovavo qualcuno con cui condividerle, ecco che mi sentivo viva a metà.
Oggi, io e le mie due adorate pelose con cui partecipo la casa ed il cuore, pensiamo fermamente che per quanto quel desiderio di condivisione è destinato ad accompagnarci per sempre, perché condividere è bello, perché condividere è umano, la vera conquista di questi lunghi e difficili anni, non sia stato un uomo, un compagno per la vita, ma scoprire che il vero senso di tutto è intrappolato proprio tra l’attimo esatto in cui “sento” ed il momento in cui “realizzo” il mio stesso stupore (autocitazione).

Cosi oggi, passeggiando per Roma con uno sconosciuto la cui mente mi ha gradevolmente  stupito, ascoltando un piccolo concerto imbastito in una piazza qualunque, in un pomeriggio qualunque, parlando con una delle mie migliori amiche e scoprendo cose di lei che, dopo tanti anni, ancora non sapevo e che mi hanno piacevolmente sorpresa, passeggiando a notte fonda davanti al Foro di Augusto illuminato di Blu nella magnifica cornice della mia Roma Antica, ripensando ad Apollodoro di Damasco, alle lunghe email piene di sorrisi scambiate in questi giorni con un altro esploratore incallito del mondo, ho “sentito” e “ realizzato” molto più di quanto le persone non facciano in un intero anno.

E sarà la sonnolenza cronica che riesce a spegnere più spesso la testa che altrimenti filtrerebbe le emozioni con usuale, razionale vivisezione, ma io il senso del mondo, il mio senso, lo sento davvero. Forte. Fortissimo.

Leggevo qualche ora fa le riflessioni di una persona che conosco, poco a dire il vero, e che poneva tantissime domande. Erano anche belle alcune, provocatorie, ma non sono riuscita a commentare, perché l’unica cosa che mi veniva in mente di scrivere nel commento, probabilmente non gli sarebbe piaciuta.

Non si possono cercare negli altri le risposte. Ognuno ha le sue, ed alla stessa domanda, ci potrei scommettere, ognuno avrà la sua personale ricetta, peculiare soluzione, diversa, opposta, certamente non la tua, non la risposta che cerchi.
Potrebbe essere simile, ma non sarà mai la tua, mai uguale, perché il tempo che intercorre tra il momento in cui “senti” ed il momento il cui “realizzi il tuo stesso stupore” è davvero troppo personale, così singolare che se per alcuni è un piccolo, piccolissimo attimo, per altri può essere lungo una vita.

Buonanotte. Chiudo gli occhi anche io.

insonnia2

Catilinaria dell’uomo mediocre.

È da una quindicina d’anni che di tanto in tanto frequento chat di incontri. Quando ero all’estero, quando tornata a Roma lavoravo da casa ed avevo poche occasioni di conoscere persone, uscire, fare nuove amicizie. Su queste chat incontravo persone di tutti i tipi e ho conosciuto persone che tutt’ora sono nella mia vita, persone straordinarie, di grande intelligenza, con cuori belli, anime gentili, irriverenti, anticonformisti o meno, ma davvero persone che tuttora ringrazio di essere con me per questo breve viaggio e per tutto quello che mi hanno dato in questi anni.

Ecco, una volta le chat di incontri erano letteralmente questo: luoghi virtuali per conoscersi, usando i tempi lenti che la scrittura e la lettura richiedono per riflessioni, pensieri lunghi.Oggi no. Siete ovunque.Voi narcisisti tartarugati con mezzo neurone epilettico avete invaso qualsiasi, e dico qualsiasi luogo virtuale: ve trovo pure nel club virtuale de uncinetto porcoggiuda.

Sono in chat di incontri internazionali e lo squallore che leggo nelle chat del bel paese ( Tinder Meetic,OkCupid che sia, senza eccezione) batte pure le trasmissioni di Barbara D’Urso. Un Danese, un norvegese, un francese, un americano, mai e dico mai dopo neanche un’ora di chat, che pe capisse e per chi non frequenta, per sua fortuna, corrispondono ad uno scambio di circa 10 righe da 35 lettere ciascuna ( fateve i calcoli,) si metterebbe a parlare di sesso. Dal come ti piace farlo, a “le fai le cose a tre?”, a “sembri un tipo passionale”, “ Ho voglia di farti venire i brividi“ “ Quante coccole ti farei,” “ Ti farei sentire una donna vera” Hai due labbra da…” e potrei continuare per ore.

Mi nauseate.

Ho raggiunto il limite della sopportazione dopo che ho dovuto cibarmivi per quest’anno di pandemia del cazzo che ci ha costretti a casa, noi single, e più o meno costretti a frequentare questi siti per non morire di noia.

Mi fate ribrezzo.

Siete dei vigliacchi.

E ve lo dice una che potete tranquillamente definire libertina, o come vi piace la shatteria itanglish “ Open Minded”.

Non ve lo dice una che sta su ste cazzo di chat per trovare il principe azzurro e sposarsi per avere tanti deliziosissimi pargoli e vivere felici e contenti. Anzi, vi dirò di più, ve lo dice una che pensa che l’amore sia perlopiù una malattia.

Quindi ora aprite le orecchie. Voi con o senza slippino sexy, coglioni che siete capaci di intraprendere chat erotiche basandovi sulle foto di gente che se solo incontraste di persona cambiereste marciapiede, tanto sono ritoccate e fasulle. O peggio con donne con l’autostima sotto i piedi che per sentirsi qualcuno vi devono far vedere le tette e i labbroni cor botox. Voi, proprio voi, ad un tavolo con una donna al primo incontro, che vogliate solo farvela o no, non direste mai dopo 4 minuti di conversazione “ Scopiamo?”.

Perchè non è educato. Ma soprattutto perchè col vostro napoleonico narcisismo non accettereste mai un vaffanculo o una sonora risata da una che vi risponde “ Sei proprio, un grandissimo, coglione”.

Non lo fareste non per ipocrisia, ma perché nella vita reale non ci sono schermi a proteggere le vostre insignificanti, minuscole e raccapriccianti vite.

Dottori, giornalisti, Business manager, Professorini, artisti mezzi falliti, musicisti che manco al liscio ve farebbero l’applauso….e titoli vari che andrebbero tutti modificati con “ Sto gran cazzo” ( per darvi un pò di soddisfazione dico, eh).

Siete così inutili come esseri umani che per scoparvene una dovete fare pesca sportiva e sedurne 1000: nella casistica delle probabilità, una ve la da. Ecco, ve la da. E ora che avete goduto inserendo il vostro insignificante arnese in una vagina invece che guardando YouPorn – ve lo consiglio peraltro, ottimi spunti e meno impegnativo di un appuntamento al buio – sentitevi peggiori. Perché lo siete. Io ci uscirei con voi.

Perché ad un tavolo, guardandovi negli occhi, vi farei cagare sotto di una diarrea fulminante. Vi disintegrerei.

Mi basterebbero le parole. Il vostro ego è talmente fragile che mi basterebbe uno sputo per farvi sentire delle noiosissime merde.

Voi che vi presentate col biglietto da visita di Amanti d’Eccezione, ve lo farei tirare fuori, ve lo misurerei davanti a tutti, lo commenterei, perché quale problema c’è, ad una sconosciuta in chat il cazzo glie lo vuoi far vedere, la foto glie la mandi, a varie sconosciute/i sedute in un bar no? Dovrebbe piacervi invece.

Voi che fate gli uomini che non devono chiedere mai, vi faccio a pezzi l’autostima con uno schiocco di dita. Accomodatevi signori, non abbiate paura, mettetemi alla prova, sulle vostre teste, ci spengo l’ultimo briciolo di dignità che potreste sentire di avere.

Quando avrò finito con voi, sarete degli zombie che non si ricordano neanche come si chiamano. Signori, per far godere veramente una donna, ci vuole la testa, ci vogliono ben più di due neuroni. Ma parliamo di far godere una donna, non balene spiaggiate in cerca dell’approvazione di un genere maschile in piedi decadimento.

E un’altra novità, sappiamo fingere, cazzoni, fingiamo benissimo, ricordatevelo bene… e non lo saprete mai: non ve ne frega neanche, per carità, siete li solo per inzuppare il biscottino. Ed è proprio per questo che non siete e non sarete mai dei grandi amanti. Ci vuole un Uomo per far godere una Donna, ci vuole coraggio. Ci vuole cervello. Ci vogliono emozioni, anche quelle che durano una sola notte.Ma voi, masturbatori seriali, narcisisti autoriferiti, autoreferenziati, siete delle sterili piattole. E visto che neanche questa mia catilinaria sull’uomo mediocre vi potrà fermare, vi chiedo almeno, se proprio avete necessità di farvelo venire duro e smanettarvi con una mano mentre con l’altra tenete il cell il mano, di verificare che non stiate esattamente parlando con una sciampista, una psicolabile in cerca di approvazione, un buco da riempire.

E vi chiedo educazione. L’educazione di chi, quando legge A CHIARE LETTERE che qualcuno non sta li necessariamente per trombarsi l’universo mediocre di questa sottospecie di esemplare bipede meno sveglio di uno scimpanzé, gira velocemente i tacchi e cambia aria.

E no, io ci rimango in chat, non ve la do vinta. Perché tanto siete ovunque.

Ogni tanto si trova quell’uno su mille che non è un cazzone ma conserva la sua dignità e che prima di scoparsi qualcuna ha voglia quantomeno di intavolare una conversazione e magari incontrala di persona per essere certa che non si chiami Alfredo, non abbia il cazzo e che non sia li a fare marchette.

E ci rimango per distruggervi. Uno ad uno.

Ormai è una missione.

Quando avrò finito con voi, omuncoli raccapriccianti, preferirete essere i viaggio su una capsula criogenica malfunzionante in spedizione su Marte.

Sarete invisibili.

E finalmente guardandovi allo specchio vi vedrete. E vedrete quello che vedo io.

Il nulla.

Voglio volere volare

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Qualcuno mi ha chiesto 2 giorni fa : ” Ma Enrica, cosa vuole?”.
La domanda aveva due valenze, una per lui, una per me: alla prima, la cui risposta avrebbe avuto piu’ significato per il mio interlocutore, non voglio rispondere. Era una domanda provocatoria e intelligente, la cui risposta, l’interlocutore, conosce gia’. Quello di cui non sono certa, e se lui si sia posto la stessa domanda. Non amo le provocazioni, ma ne capisco il senso e la logica. Questa, in realta’, mi ha dato l’occasione per riflettere su di me, ed e’ la valenza che ho voluto dargli io.
Mi limitero’ a rispondere pubblicamente alla seconda valenza, la quale, ha piu’ senso per me. La risposta non e’ per lui ovviamente, che avrebbe voluto sentirsi dire altro, e che tralatro, non legge il blog. La risposta e’ per me. Pensarci e’ stato un bel viaggio tra emozioni e ricordi, ed ho deciso di condividerla.

Voglio il buffetto sul sedere ad 80 anni.

Voglio leggere tanto, voglio andare in bici, con nel cestino in vimini latte e giornale.

Voglio imparare il liguaggio dei sordomuti.

Voglio continuare a ballare in salone, che sia da sola o in compagnia, per tutta la vita.

Voglio andare alle lezioni di storia, voglio diventare una persona migliore affinche’ tutto intorno a me migliori.

Voglio cantare. Cantare di gioia.

Voglio una casa tutta mia.

Voglio una superfidanzata per Skrokkio.

Voglio meravigliarmi di cose che non so.

Vorrei indietro la bicicletta che mi hanno rubato.

Voglio tanti fiori in balcone.

Voglio un sistema politico che sia pieno di valori veri, a destra o sinistra che sia.

Voglio sentirmi bella in bikini. 

Voglio continuare a leggere poesie, voglio tanta musica, voglio fare la marmellata, andare alle mostre, ai concerti di qualsiasi tipo.

Voglio conoscere il mondo.

Voglio a volte solo silenzio.

Voglio respiri intensi, persone di valore accanto a me.

Voglio passare pomeriggi a raccogliere le more. Raccogliere conchiglie.

Creare, si, creare.

Voglio abbracciare le persone a cui voglio bene.

Voglio saper asciugare le lacrime della persona che amo.

Voglio un uomo intelligente e sensibile accanto a me.  

Voglio le scampagnate in collina.

Le domeniche a letto a fare l’amore.

Voglio che Robert dimentichi il dolore.

Voglio ridere, voglio tenerezza.

Voglio svegliarmi la mattina col mio uomo accanto. Guardarlo dormire mentre mi viene voglia di prepararci una bella colazione, e di fare l amore con lui, per cui, forse lo svegliero’, o forse non ancora.

Voglio sentirmi bene tra le braccia di qualcuno, amico o amante che sia.

Voglio la Pace.

Voglio leggere ad alta voce i passi di un libro che amo.

Voglio guardarlo tra 20 anni e pensare che si, lui era davvero la persona migliore che potesse condividere il sentiero con me.

Voglio ridere davanti ad un piatto di pasta con i miei amici, e voglio ricordarmene.

Voglio che ogni bel ricordo si incida nella mia vita come un marchio a fuoco.

Voglio non dover sempre chiedere cio’ di cui ho bisogno.

Voglio cura, onesta’, intensita’.

Voglio innamorarmi.

Voglio visite culturali per la mia citta’ la domenica mattina (quando non rimango a letto a gongolarmi).

Voglio preparare la cena per due, ma anche per tre per dieci, cinquanta..

Voglio discutere ed arrabbiarmi per il posto di una quadro.

Voglio imparare a dire grazie.

Voglio ridere ancora un po’.

Voglio litigare e fare sempre pace.

Voglio che mio padre senta il suo valore, e che mia madre sia serena.

Essere fiera del lavoro di un’altro.

Voglio festeggiare ogni compleanno.

Voglio amarlo di piu’ , quando e’ piu fragile. Voglio essere amata di piu’, quando sono piu’ fragile io.

Voglio fare la spesa con lui pensando “Perchè No?”.

Voglio cullarmi su un dondolo in giardino.

Voglio l’ombra di un albero al parco con un buon libro.

Voglio essere l’unica donna per lui.

Voglio essere piu’ coraggiosa.

Voglio smettere di fumare senza ingrassare.

Voglio scrivere un libro di favole.

Voglio un camino con la carne alla brace.

Voglio amici intorno ad una chitarra.

Voglio solo parole sincere.

Voglio amare le mie imperfezioni.

Voglio una vacanza in barca a vela.

Voglio assistere al Torneo di Calcetto dei miei amici e fare il tifo urlando a squarciagola.

Voglio fine settimana a visitar le Capitali Europee.

Voglio un the’ con le foglie appena raccolte.

Voglio vedere mio fratello felice.

Voglio girasoli freschi sul mio comodino.

Voglio borsa e ombrello originali della Poppins.

Voglio un canotto e una canna da pesca.

Voglio cucinare le telline che ho raccolto io.

Voglio aprire una libreria, un agriturismo, un regalo.

Voglio che mia sorella abbia grande fiducia in se stessa.

Voglio volare, almeno una volta nella mia vita.

Voglio la volonta’ di essere felice qualsiasi cosa accada.

 

E voglio tanto altro ancora.

E perchè no, vorrei condividere tutto questo con amore.

 

Cose semplici, dette da una persona complicata. Per alcune di queste, nutro poca speranza, ma non mi sono arresa.

 

Ci ho pensato tanto e tanto a lungo, la vita in fondo, e’ tutta qui. Non c’e’ molto altro e tanto diverso per cui valga veramente la pena. Non per me almeno.

Tutto qui.

Una canzone.

Una poesia.

Una cena in compagnia.

Tenerezza.

Una lettera d’amore.

Sogni.

Marmellata e salse inglesi per il formaggio che abbiamo comprato insieme.

Un compagno. Quello giusto.

Un buffetto sul sedere a 80 anni.

La vita e’ tutta qui.

Semplice, cosi’ come viene, tutta qui.

Non sempre riesco a chiedere cio’ che voglio quando i miei desideri includono la partecipazione di altre persone.  D’ altra parte non credo che certe cose vadano  chieste. O si ha voglia di donarle, oppure no. O ti appartengono oppure no. O si vivono , o no. Le cose, quelle vere, si sentono e basta. Senza tante domande. Senza bisogno di risposte.

Cio’ che IO voglio, cio’ che la vita mi mettera’ davanti e quello che sapro’ costruire con i miei limiti, sono una cosa diversa.

Per il momento, realizzo il realizzabile e condivido il condivisibile.

E voi…cosa volete?

L’Amore ai tempi di Tyson

Immagine“Bella giornata, la tua ingombrante presenza nel mio cuore, ma manchi, sempre, tanto, costantemente, ogni volta che sei a meno di 3 metri da me. 

Manchi quando non possiamo stare insieme perché lavori,  così come quando dal salone vai nella tua camera e sul divano aspetto il tuo ritorno.

Manchi insanamente, ma umanamente.

Così umana, non mi sono mai voluta sentire: eppure con te accade e si,  anche se un po’ mi vergogno, insanamente, umanamente, manchi.

Buonanotte Tisone. “

Ho riletto per caso questo messaggio inviatogli mille Kalpa fa.

E’ stato bello rileggerlo. E’ stato bello ripensare a lui.

E’ stato bello sentirmi umana.

E’ stato triste pensare che con tutto l’amore che c’era, non potevo e non sono riuscita ad aiutarlo.

Viaggio notturno.

Immagine

Stanotte portami al mare.

Davanti ad un forno che odora di pane. Davanti ad un forno che odora di casa.

Portami a vedere dove sei nato, dove andavi a scuola, dove hai fatto l’amore per la prima volta, dove hai capito cosa volevi diventare, o dove ti sei perso per sempre.

Portami  nel quartiere dove sei cresciuto, sulla spiaggia dove per la prima volta andasti da solo con gli amici, alla fermata  dove aspettavi l’autobus per andare a scuola.

Portami dove hai fatto l’esame di guida per la tua patente.

Portami a vedere dove giocavi a pallone, dove ti rifugiavi, dove compravi il gelato d’estate.

Portami sull’astronave che quella notte di tanti anni fa hai immaginato per te.

Portami a quel concerto che ti ha fatto piangere.

Portami dove lei ti ha lasciato.

Portami a fare un lungo e brevissimo  viaggio dentro scampoli di te.

Per una notte, una soltanto, voglio camminare su quella luna sbeccata e sentire l’eco di quei passi.

Lontana.

Sarò discreta.  Sarò silenziosa.  Sarò invisibile.

Non aver paura.

Stanotte ti terrò con tutte le forze.

Per tutta la notte che posso.

 

Portami li, stanotte.

Portami li.

Era Ora. Via dalle Palle.

Dunque, il layout del mio blog è na schifezza, le wigget non fungono ma io non mi arrendo.

Sono due cavolo di anni che volevo scrivere questo post quindi ora vi tocca. Alcuni di voi, un paio di anni fa, hanno assistito ad uno scambio pietoso di insulti sul mio blog, da parte del mio Ex. Più che scambio un monologo.

Ecco, per tanto tempo non ne ho scritto, ne ho commentato perché non volevo dargli modo di pensare che mi importasse qualcosa e quindi dargli spago. Proprio non lo sopportavo più.

Finalmente dopo due anni di silenzio, e allegramente quasi certa che non legga più il blog, posto il mio commento di risposta alle sue schifezze e bugie. Non è che mi importi di lui, ma vorrei almeno a voi, amici di blog, dare un pò di soddisfazione e spiegare i fatti a modo mio, visto che questo, dopotutto, era ed è il mio Blog.

Caro penoso Pippo, Antonio, come cazzo ti pare.

No, non ti ho lasciato perché non ti sapevo reggere, tu poverino, così fragile ed io meschina.

Ti ho lasciato perché, ci ho messo tanto per capirlo, ma non sei una bella persona.

Ti ho lasciato perché sei invidioso, egoista ed egocentrico. Accusi gli altri di possedere i tuoi difetti, che se fossero solo difetti uno magari capirebbe. Ma la tua invidia non è un difetto, è un crimine. Il tuo egoismo è un crimine, il tuo egocentrismo è disgustoso.

Mi hai fatto a pezzi, ero il tuo straccetto, soggetto a tutti i tuoi stati umorali. Ciò nonostante non riuscivi ad essere felice dei miei successi, degli amici che avevo, delle persone che mi volevano bene. Distorcevi la realtà a tuo piacimento: accusavi me di egocentrismo solo perché avevo successo sul palco, ti rubavo i riflettori, evidentemente.

Mi hai rovinato tutti i compleanni passati insieme, anche quelli che amorevolmente avevo organizzato per te. Hai rovinato con le tue urla isteriche e infantili tutti i viaggi fatti insieme, i miei sogni.

Ti ho lasciato perché sei una bestia che si nasconde dietro i problemi per poter fare e dire di tutto e  tutti anche contro i tuoi unici e pochi più cari amici.

Ti ho lasciato, perché, aveva ragione mio padre, eri un cancro nella mia vita  e stavi andando in metastasi.

Ti lasciato perché volevi una madre, non una donna, e pretendevi che io subissi le tue angherie, perché una madre lo fa.

Ma io no, caro ignobile Pippo.

Non ti ho lasciato perché eri una persona problematica, ma perché eri una persona cattiva. Una persona meschina, che da bravo ( e manco tanto bravo, ignorantone che ti atteggi e non sai leggerti un libretto di 20 pagine per preparare un esame) PSICOLOGO, hai preso tutti i miei punti deboli e con quelli hai scardinato tutte le mie certezze.

Ti ho lasciato perché al funerale di mio padre mi hai lasciato e poi come niente fosse sei tornato un mese dopo, con la coda tra le gambe, a implorare perdono.

Ti ho lasciato perché quel perdono non lo meritavi, e me lo hai riccamente provato, con la tua cattiveria.

Ti ho lasciato perché ti sentivi sto Cazzo e non valevi nulla.

Ti ho lasciato perché meritavo di più, non un mediocre, un gretto come te.

Ti lasciato perché non ti amavo più.

Semplice, senza fronzoli.

E Ora vaffanculo.

Ecco. Ce l’ ho fatta.

E ora si che mi sento incredibilmente meglio!

Abbiate pazienza, ci ho messo due anni, lo sapete che sono un po’ lenta.

Buon anno a tutti!