Ma in tutto questo viaggiare, i sogni, dove sono andati a finire?

Mi sono svegliata pensando a mio padre.

Sono passati già molti anni, così in fretta che non so più se la tristezza che ogni tanto si affaccia sia dovuta al fatto che mi manchi, oppure semplicemente alla fila interminabile di piccole delusioni collezionate negli ultimi anni, ed il bisogno di dare un volto all’amarezza.

Ho avuto un rapporto molto complicato con mio padre, ma alla fine, proprio alla fine, ci eravamo ritrovati.

Padre e figlia, insieme, sgangherati dalla vita, o dalla genetica forse, che non ha mai reso troppo facile le nostre avventure nel mondo, per lieve eccesso di onnipotenza.

Così oggi mi piace immaginarlo un padre perfetto, che in questo momento, se fosse qui, mi farebbe sentire semplicemente la figlia più bella del mondo, la donna più intelligente dell’universo, una bambina con un grande futuro davanti.

Una volta in prima elementare la mia maestra disse a mia madre “ Questa bambina andrà lontano”.

Eravamo alle prese con i nostri primi dettati, ma io, volevo scrivere del mio. Così, un dettato sulla primavera, si trasformò in un tema sull’odore dei fiori, sulle rondini che facevo ancora fatica a riconoscere, sulle distese verdi e l’odore del prato appena tagliato del mio cortile.

Ricordo la maestra, finire una fase ed una “piccinissima me” correre da lei con il quaderno in mano per farle “la sorpresa”.

Appena provavo ad alzarmi dal banco, lei, ignara dell’impresa d’eccezione in cui mi ero avventurata, mi ripeteva “No Enrica, non è ancora finito”.

Così dopo un po’ le frasi diventarono pensieri lunghi, la mente si mise in viaggio ed io non ricordo più come sia andata a finire.

Ho imparato presto ad accettare che la vita è tutto tranne che perfetta, così come le persone, le nostre convinzioni, e a dirla tutta, anche i nostri sogni.

I sogni per loro stessa  natura dovrebbero essere perfetti, o quantomeno perfetti per noi.

Invece io una cosa l’ho capita presto, o almeno così pensavo.

Il sogno viaggia mano nella mano con l’aspettativa, e i due compagni di viaggio, dovrebbero farsi compagnia in un abbraccio inversamente proporzionale.

Io ero una bambina con grandi sogni e grandi aspettative. Vivevo di grandi delusioni.

Così piano piano, non so neanche bene come e quando sia successo, ho iniziato ad avere piccoli sogni e piccole aspettative, tali da essere accompagnati sempre da piccole delusioni.

Ma la cosa non è che proprio abbia risolto il problema, perché oggi capisco che davanti ad una grande delusione, si può reagire, si può diventare più forti.

Tante piccole delusioni, una dopo l’altra, ti logorano lentamente, ti indeboliscono, avviliscono.

Anche se con tutta la forza, con tutto l’entusiasmo, con tutto il coraggio, anche se in fila per tre col resto di due, ti sfiancano, sfiniscono.

E tu ti alzi una mattina e ti chiedi se non avresti fatto meglio ad inseguire i tuoi grandi sogni, piuttosto che piccoli traguardi.

Chi legge il blog sa che io sono una in cammino.

Chi legge il blog e mi conosce sa che il sorriso che porto spesso con me è una sfida, piuttosto che un traguardo.

…però ho una domanda a cui davvero non riesco a dare risposta: ma in tutto questo viaggiare, i miei sogni, dove sono andati a finire?

Sogno ancora?

A parte un altro piccolo sogno, quello di un allegro casale da condividere in vecchiaia con amici cari come Mario, Alessio ed i pochi altri single come me che a 70 anni avranno ancora voglia del calore dell’amicizia, tutti gli altri sogni, si sono nascosti a questo cuoricino ammaccato o sono semplicemente e definitivamente svaniti?

Io sono una dei quelle persone in cammino.

Io sono una che guarda sempre avanti.

Sono una persona fortunata, se rifletto sul mondo che mi circonda.

Sono fortunata perché le delusioni mi hanno si, stremato, ma non mi hanno privato del sorriso.

Eppure, è così difficile camminare quando non c’è una meta ed i tuoi piedi sono pieni di cicatrici.

Eppure, a volte, non avere una famiglia, pesa.

Essere lontana dall’unico fratello con cui ti puoi confrontare pesa.

Non avere un legame forte e vicinanza con una sorella di 14 anni più piccola, pesa.

Non avere più tuo padre, l’unico forse che dopo una vita di assenza avrebbe saputo, infine, dirmi una parola magica, pesa.

Così me lo immagino adesso mio padre: intento a prepararmi la pasta e fagioli, a fare i suoi 3000 upgrade al computer, a riprogettare il bagno perché io avrei tanto voluto una vasca, a sfogliare dépliant per trovare il miglior televisore possibile da regalare alla sua bambina, a confrontare le specifiche dei robot tritatutto ed assicurarsi che vi sia anche la centrifuga e che quindi il mio acquisto sia il migliore possibile, a riparare i fornelli della mia cucina a gas.

Forse solo lui stasera potrebbe farmi sentire bellissima anche con questi due kili di troppo e gli occhi stanchi per giornate davvero troppo faticose e senza sogni.

Ce l’ ho messa tutta per essere felice.

Nonostante tutto.

Nonostante “non sia andata poi così lontano”.

E si, sono stata brava perché spesso, un po’ felice, lo sono.

Però papà, stasera, sorridimi tu, perché non sono per nulla sicura che i piccoli segni lasciati da piccole delusioni, non mi abbiamo infine e per davvero fatto smettere di sognare.

La mia Istanbul.

Resoconto pressappochista per i miei amici autostoppisti.

Vabbe, dovevano essere pochi giorni, stanno a diventà na fracca. 

Ma Istanbul li vale. 

Tutti. 

E’ enorme, bellissima, una babele di vestiti, da donne con burka a quelle tatuate con piercing. Passi dai quartieri spagnoli de Napoli, ai souk de Marrakesh. alla Ginza di Tokyo, a St Germain a Parigi o Bond Street a Londra. 

Quartieri divisi per cose.

Proprio pe COSE. 

C’è un’intero quartiere FERRAMENTA ( il paradiso della Poppins) , uno per i cessi ed i lavabi, uno per i lampadari, uno per le vernici, quello dei tessuti a metraggio e così via. 

So impazzita perché’ non mi capacitavo, ma alla fine, aho, e’ semplice ed ha senso. Ti serve un cesso, mica devi fa er giro del GRA. Stanno tutti la. Cristallino. 

Un compressore? Lungofiume quanti ne vuoi ( è che non li spediscono senno uno me lo ero comprato che me servirebbe pe la pistola sparachiodi). 

Interi negozi solo de chiodi, di tutte le misure e lunghezze, forme, colori, se cerchi bene ce trovi pure quelli che hanno usato pe crocifigge nostro signore. Però le viti no eh, quelle devi annà ar quartiere delle viti, senno è concorrenza sleale. 

Té e Tisane a diventa’ grassi, spezie a profusione, cocci, coccetti e pentolini che li dai a Copeland da de matto. 

E poi parti dall’alto eh, ma proprio in alto, cammini verso valle ed il tuo orologio tecnologico te dice che hai fatto 21 km. 

In SALITA. 

Un posto assurdo, pure dell’ alto monte al basso Bosforo, se va in salita, manco fosse la famosa strada de Ariccia. Per me ancora un mistero. 

Non ne vengo a capo. 

Ci sono il Marsia scuoiato e l’Alessandro Magno del museo archeologico, che oggi sono rimasta incantata a guardare avendo nella testa la conferenza sul viaggio di Alessandro di Baricco. 

Estasi.

Arte, cultura, e bellezza, un’esplosione di colori, stili, vestiti, voci, manca solo l’inglese, quello no, per carità’, che pe compra un biglietto della metro ho fatto su e giù pe un’ascensore 14 volte. “So cordiali i turchi, chiedi”. 

Si, chiedo, ma nun se capimo manco a gesti. E si che so italiana e li so fa benissimo eh. 

C’ hanno più bandiere turche cha abitanti. Manco in America. Peró belle. Non credo di aver mai visto bandiere cosi grandi. Nemmeno i campi de San Marzano de Acerra. 

Il bagno turco te lo fanno delle lottatrici di sumo che te rigirano come un calzino con tecniche da ex unione sovietica, ma che quando poi ti insaponano co LE BUSTE ( vere e proprie buste di stoffa gonfiate come palloncini piene di schiuma al sapone di Aleppo), Carla Fracci spostate.

E il cibo: io pensavo che noi italiani fossimo ossessionati. Nun lo siamo, fidatevi. Ho visto spiedini di kebab che glie mancavano le ruote e parevano giusto giusto autotreni parcheggiati. 

Peraltro co tutti i dolci super dolci che te propinano a tutte le ore del giorno e della notte non mi stupirei se la Turchia avesse il tasso de diabetici più elevato del pianeta.

Che poi pure cor traffico, me sento a casa, anche se la Pontina da noi a Pasquetta nun se batte. 

Pero a casa ce so tornata, nun so come, ma ce so tornata. In albergo vabbè, che data la permanenza non propriamente breve posso permettermi di chiamare casa. 

Perché Istanbul è cosi. Non sei neanche arrivata e hai già la voglia di tornarci. Di nuovo.

Anche quando parte lo sfraccamento de cojoni dei minareti a na certa ora, che pare che stanno a ammazza i polli. Certi Muezzin so pure quasi ascoltabili, quasi, ma altri so quelli che te fanno capì che pure qua in Turchia ce stanno i raccomandati. 

Vabbè, è perché so atea miscredente ed eretica, a me pure  “Tu sei la mia vita” me fa cagare. 

E la musica, lo so, so poco romantica, ma a me, co tutto il cuore, se nun sto a fa la danza der ventre a “Ballando co le stelle”, me stucca. 

A meno che tu non decida di andare in una delle tante discoteche della città dove trovi DJ di musica house così figa da diventare quasi pornografica. 

E poi apri Facebook e neanche a farlo apposta leggi un post di Anita Sur, su una bellissima parola turca. 

Una parola che esiste solo qui. 

Ebbene, l’ho visto stasera. L’intraducibile parola turca.

Yakamoz. La scia della luna sull’acqua.

Meravigliosa Istanbul.

Buonanotte.

—-

Non vi ho tediato con il resoconto giornaliero, ma due memorie da aggiungere erano doverose. 

Sono una guida turistica, capisco l’importanza di una visita guidata e me sparo due giorni di visita con guida. Io e lei. 

E niente, era mejo senza. Na cosa inutile. Santa Sophia non entriamo che c’è la fila, alla Moschea Blu non entriamo che c’è la fila ( diceva lei eh, io dopo due vaticani de sabato so pronta a tutto). Ha cercato di spillarmi soldi in tutti i modi possibili: te cambio io gli euro, te porto io a comprà dove se risparmia: nevvero, ndo m’ ha portato lei costava tutto er doppio, ma se sa, le guide prendono le stecche. 

Solo io no. Che c’ho sta cosa dell’etica professionale che me fotte, ma vabbè. 

Secondo giorno insieme, visita privata. A metà mattinata mi chiede candidamente se possono unirsi a noi altre tre persone, un’allegra famigliola di Udine. 

Io boh, vabbè number 2. 

E famoselo sto giro insieme in compagnia sur Bosforo pure che m’hai tolto un braccio pe na visita privata, che io già nun reggevo la guida, pensa co n’allegra famigliola che come ar solito, per mio grande culo, vota Salvini e attacca pipponi No Vax nun richiesti. 

La parte che mi ha quasi spinto al suicidio neuronale è stata in barca sul Bosforo: un cielo bellissimo, terso e sereno, con una manciata di candide scie lasciate dagli aerei. 

Potevano nun esse scie chimiche? Perché’ NUN CE LO DICONO, ma ce vojono ammazza tutti, tu non lo sai, ma sei te colui il quale e’ stato prescelto per la sperimentazione, in Italia lo fanno ormai da anni. Io ce so venuta proprio a Istanbul pe scoprillo. 

Sul Bosforo, una di quelle crociere super turistiche ma che merita se non altro per il paesaggio che altrimenti non vedresti: piccole insenature con splendide case colorate e ristorantini, palazzi storici tipo: la casa del sultano d’estate, la dimora del sultano in inverno, la umile super villa del sultano pe quando nun glie annava de fa un cazzo, il deposito del tabacco del sultano ( ben due veramente, tipo 5000 metri quadri ciascuno, ora alberghi super lusso,) ma è li che ho compreso il detto “fumare come un turco”. 

E poi tantissime navi cargo in rotta verso il Mar Nero cariche di gas e petrolio. Per l’Ukraina, dicono. Fa strano sapere che a soli 12 km c’e’ l’ingresso dal Bosforo al Mar Nero, pullulante di navi da guerra.

Comunque pare che i capitani russi alcolisti e ubriachi, ogni due e tre si incollino qualche splendida casetta aristocratica lungo la bellissima riviera bosforese entrando de prua sulle banchine, nel tentativo de fa un paio de curve sul canale. 

Io sta cosa la devo segui’. Te pare che non giri sui principali canali de informazione tipo TIKTOK. 

Istanbul, dicono 18 milioni di abitanti.

Nun è vero, so deppiù. Molti de più, giuro. E a occhio e croce stanno tutti a passeggià a via dell’indipendenza, tra piazza Taksim e Sishane, tipo 4 isolati. Se nun ve prendete er Covid qua, fidateve, nun lo prendete più. Carcola che hanno 43 sindaci. 

Ma più degli Instanbullesi, so i gatti. Cani de meno ma non menissimo, e comunque tutti a zonzo, grassi come vitelli sacrificali e felicemente a prendere il sole sui tappetini dell’ingresso dei ristoranti. Er paradiso delle gattare de Roma e a sto punto, del mondo. Nun venite in pensione qui. Ve costa più de cibo pe gatti che de alloggio. 

C’è da dire che i turchi non sono arabi, anzi, se glie dai dell’arabo se incazzano: i paciosi Instabbullesi ( instanbullari, instabbularegni? ), te potrebbero mette le mani addosso se glie dici arabo: che “a loro della religione frega cazzo, che il sultano, quando c’era, manco e’ andato mai alla Mecca e siccome se rompeva i cojoni de ariva’ in moschea a 200 metri a piedi, se faceva veni’ l’Imam a casa na volta ar mese, giusto pe di, qualcosa faccio”. 

“E porcoddue Erdogan e chi l’ha votato, zotici campagnoli che se ce capitano a tiro li famo diventà arabi a pizze due a due e li spediamo in Arabia Saudita cosi ce li togliamo pure dai cojoni.“ 

Questa la sintesi della fraterna coabitazione dei popoli qui a Babelistanbul. 

No, i turchi NON parlano l’arabo ma na lingua Uralo-slava, che a legge je la fai ma a sentirla pare arabo. Der tipo che leggi na cosa scritta “palla” e se pronuncia  “udgdhgjkkk”. Però che pare arabo nun je lo poi dì ai turchi che se incazzano. 

Istanbul è costruita su due continenti, parte Europa, parte Asia. Nella zona asiatica, attaccate, proprio de fila, ce stanno: una moschea, una chiesa cristiana armena, una sinagoga. Un angolo dopo una chiesa cristiana ortodossa di rito greco. Insomma, a Istanbul so schizofrenici ma inclusivi. 

La zona asiatica è un gioiello, chicchettosa ma alla mano, piena di localini alla moda ma anche trattorie locali, orti urbani pubblici, forni storici e pochissimi turisti. 

Come ar solito, in SALITA. 

“Discesa” deve esse na parola araba che loro pe principio non usano, e per lo stesso principio, le hanno tolte pure dalle strade. 

Cena in gustosissima e carinissima trattoria locale, tipo covo de Messina Denaro, suggeritami da un amico toscano. 

Litrami di Raki e c’ho messo un po’ pe trova la strada de casa. 

Anche oggi. 

Che dire. Qua a Istanbul è bona pure l’insalata. 

Ed è di nuovo tempo di Yakamoz.

Stanotte dormirò da sola

Un piccolo camenerio è spuntato tra le mie macerie. 

Immobile, l’ho osservato germogliare.

Non sopravviverà, ma in fondo, è pur sempre un fiore. 

Non nutro speranze, ma è bello e al contempo dilaniante guardarlo farsi strada con tenacia tra cumuli di polvere e pietre. 

Così piccolo, così fragile e allo stesso tempo così determinato.

Vorrei potermene prendere cura, ma ogni sentimento ha il suo destino e la sua strada: un viaggio da compiere. 

Non si può cambiare il corso delle cose.

Così, vigliaccamente, fingo di ignorarlo.

Non me ne vorrà male, quel piccolo fiore. 

Non ho più lacrime per innaffiarlo, né più sorrisi per nutrirlo. 

Il tempo ci rincorre spietato.

Ma lo ringrazio per tutto il colore che ha inaspettatamente, con leggerezza, dipinto su questa tela bruciata. 

Non voglio più conoscere il colore del grano. 

Non voglio più addii. 

Il nostro abbraccio è durato troppo a lungo.

Abbiamo amato fino all’osso.

Sento le ossa macinare, vedo

i nostri due scheletri.

Ora sto aspettando

che tu te ne vada, che

il rumore delle tue scarpe

non si senta più. Ora, silenzio.

Stanotte dormirò da sola

sulle lenzuola della purezza.

La solitudine

è la prima misura igienica.

La solitudine

allargherà le pareti della stanza,

aprirò la finestra

e l’aria grande e gelida entrerà,

salutare come la tragedia.

Entreranno pensieri umani

e preoccupazioni umane,

le disgrazie degli altri, la santità degli altri.

Converseranno dolcemente e severamente.

Non venire più.

Sono un animale

molto raramente.

All 4 Nothing ( I am so in love)

“Quando una donna si mette da parte,
non lo fa per vigliaccheria,
per senso di inferiorità o insicurezza.
Ci sono casi dove, andarsene,
sparire e allontanarsi dalla vita di qualcuno,
è un atto dovuto a se stessa.
Quando una donna, dopo aver lottato,
piomba in un silenzio,
accompagnato da un senso di rassegnazione,
non lo fa per debolezza,
ma ciò che la guida è una forza spaventosa
che la riconduce verso la lucidità e la razionalità,
perché dove non ci sono orecchie per capire
non devono esserci più parole per spiegare.”

Inizio questo pezzo di diario con il titolo di una canzone che mi ha tenuto compagnia per qualche settimana.

E’ una canzone di quelle pop di cui il più delle volte ti vergogneresti un pò, ma alla fine, che mi piaccia o no, pur sapendo che non era amore, ha saputo descrivere in musica la bella emozione che mi portavo dentro.

Durante il tragitto verso il lavoro, al ritorno, in casa mentre allegramente combattevo l’entropia, mentre preparavo pacchetti da mettere sotto l’albero di natale.

E se è vero che poi ad un certo punto le emozioni ti tocca riporle in un cassetto, è pur vero che fanno parte di un pezzo del tuo diario di viaggio. E quelle intense sono così rare, non le si può semplicemente gettare via: vanno riposte con cura.

E’ stato bello, è stato forse troppo breve, ma per quel che è durato, è riuscito a sciogliere un pezzetto di quell’iceberg di delusioni che mi porto dentro.

Ora ci sarà da lavorare sull’assenza, sulla mancanza, sull’amarezza, ma come tutte le cose, nel bene e nel male, purtroppo o per fortuna, anche questo piccolo dolore passerà. E quando accadrà, forse un pò mi dispiacerà.

Il tempo sarà la pioggia che tutto porta via, anche lacrime e malinconia.

E l’area del cuore come si calcola?

In matematica non sono brava.

Perdo il conto delle foglie dei rami

e per le stelle ogni volta ricomincio da capo.

Non riesco a misurare il salto delle cavallette

e non so la formula per il perimetro delle nuvole.

Il calcolo di quanta neve sia caduta mi sfugge

e anche di quanta ne possa reggere un filo d’erba.

La somma dei passi per arrivare al mare non mi riesce

e mi chiedo se per il ritorno devo fare una sottrazione.

Ho diviso il numero dei semi per i frutti

il risultato è una nuova foresta e ne avanza qualcuno.

Se moltiplico le giornate di sole per quelle di pioggia

ottengo più di sette stagioni e non so quante settimane.

La matematica mi confonde.

Come misura del mondo è strana.

Per quanti conti si facciano qualcosa non torna mai pari.

Due finestre fanno una vista? quattro muri sono una casa?

Noi siamo i nostri centimetri, chili, litri? quanto pesa un segreto?

quanto misura una risata? e l’area del cuore come si calcola?

Azzurra D’Agostino

Opera: Morimoto Jun

Goodbye, Prague

Dear Wizard,

a letter that I will not send, an answer to yours that you must come and look for. In the end, you always knew where to find me, if you only wanted, if you only really cared.

I’ve been thinking about us, in the past months, an avalanche of memories, of laughter, of expected messages, of dreams, of crazy songs, of Nina Simone, of countdowns, of packages around the world, of disheveled words, of books, of promises, of imagined journeys, of hippos with Tutus and around 290 weddings. 

“As many times as you like”, to be precise.

I thought about all this, I saw my tears again at the airport, staring motionless at the departure terminal. I had accepted that there would be no future yet grateful for what we had. 

Then your letters, the hope that yes, maybe it could have been. 

Until the day you were gone. 

Lost in your life. 

You didn’t miss me. You didn’t need me. 

Ready to call me from a rooftop of a distant house to know what I thought of your books, never just to tell me you missed me. 

I have always found wonderful the image of you on a rooftop staring at a sizzling gaze as you smoke your secret cigarette.

But I can’t stay, not this time. 

I’m too tired, too old to play out my last years in a story whose preface was beautiful, but whose destiny has already been seen. 

You asked me to stay. 

I’ve never been afraid to cross oceans to chase my dreams, and no, I wouldn’t have been for you. 

Yet, too few times I have listened to the signs, so busy chasing my dreams. 

I will not make the same mistake again.

I wanted it to be you, I wanted it with all my heart. 

I wanted you to be the wizard with whom I could create magic in this universe full of ugliness. 

I would have wanted something extraordinary, to dream in two, to create in two. 

I don’t need love.

I need care, laughs, I need sweetness, I need love letters and funny ones.

Little, very little care. 

And I need courage: someone who, against all odds, against all difficulties, has the courage to tell me “I want you, just you.”

I need magic, to forget the time that ruthlessly runs. 

My passing years, my aging skin.

I need it to make sense of all this pain, so human, so inevitable. 

I need feelings. 

But you never really listened. You never really saw me.

And that is why, this time, I cannot stay. 

Your beautiful letter should have been followed by a hug, our hug. 

It would have been a beautiful romantic comedy with an ending worthy of the best Hollywood endings. 

Forgive me, however, if I choose the faded reality of awareness. 

I will not fly to Prague with you, but a part of me will follow you with my heart wherever you’ll decide to go to find yourself. 

I do not need you. You do not need me.

I know for a fact that we will both survive. 

But I will miss you. I really will. 

Don’t ever forget that. 

And even if it does not console, perhaps we have not found love, but we have found friendship and built short but beautiful, precious memories to be cared for. 

Always yours, Poppins, the sorceress.

Insonnia


…E come dice Mario, tanto si sente quando c’è aria di blog, e sempre come cita lui:
Che cos’è l’insonnia se non la maniaca ostinazione della nostra mente a fabbricare pensieri, ragionamenti, sillogismi e definizioni tutte sue, il suo rifiuto di abdicare di fronte alla divina incoscienza degli occhi chiusi o alla saggia follia dei sogni? L’uomo che non dorme si rifiuta più o meno consapevolmente di affidasi al flusso delle cose“

Memorie di Adriano

Dormo poco.
Mi accade spesso, soprattutto nei momenti della vita nei quali mi sento felice.
Non è successo nulla di nuovo, nessun amore, nessun nuovo lavoro, niente di nuovo.
Non dormo, ormai sono più che dei mesi. Come se tutta questa felicità mi obbligasse a vivere voracemente anche i momenti più silenziosi e notturni, quando posso fare una carezza in più alle mie belve, quando posso occuparmi di progetti fantasmagorici e bizzarri come forni galattici per fare biscotti in orbita spaziale, quando posso ascoltare la musica a tutto volume in cuffia guardando fuori un cielo stellato che mette paura tanto è bello, quando posso sperimentare la ricetta di una nuova torta, quando posso scrivere, scrivere sul blog, pensare alla prossima favola che scriverò, quando posso leggere, quando posso ricordare bene, ricordare meglio, mettere a fuoco tutto, la giornata, le settimane, o anche un solo attimo, decisivo, che sembrava essere andato perso.

La mia insonnia è una benedizione e paradossalmente rende le mie giornate più intense.
Una persona che ho amato, ormai in un passato remoto tanto passato da sembrare trapassato, usava chiamarmi H24.
Uno dei tanto nomignoli affettuosi affibbiatomi dai miei più cari amici negli anni ed anche uno di quelli che ho sempre tenuto caro ed indossato con un certo orgoglio.
Perché quando non dormo, io lo so: so che sono felice, so che voglio vivere e che allo stesso tempo non ho paura di morire, che se morissi ora, morirei davvero contenta, e se proprio fosse ora ( se ci penso rido) morirei avvolta nel piumone a mo di esquimese nonostante temperature ancora tiepidamente rinfrancanti, con la sigaretta di Jigen in una mano e la tazza di latte e orzo caldo nell’altra in omaggio al mio papà.
Se mi trovassero domani, si troverebbero davanti un buffo cartone animato con il sorriso sulla faccia e davvero troppe poche ore di sonno.

Sono felice e so che poiché non dipende da nulla, nulla potrà portarmi via questo pezzetto di mondo nel quale oggi camminavo a testa alta, con il sorriso e la curiosità di una bambina con il cestino pieno di meraviglie sconosciute, tutte da scoprire e catalogare, raccolte qua e la, durante le perlustrazioni diurne e notturne.

So bene che non sarà cosi per sempre, che così come ci sono stati, torneranno anche i momenti decisamente no.
So bene che quando chi sceglie, come me, di vivere la vita con intensità e passione, deve inevitabilmente pagarne il prezzo con emozioni di portata mastodontica, e questo vale tanto per la felicità quanto per la tristezza.

Eppure nulla mi toglie dalla testa di essere una persona incredibilmente fortunata, con la possibilità di emozionarsi sempre e comunque, solo facendo un piccolo salto a piè pari dentro me stessa. Ovunque mi trovi. Magari con una bella, bellissima canzone nella testa, a tutto volume, che mi distrugge le orecchie, si insidia nel cervello e mi tocca il profondamente l’anima.

Quando ero “più ragazza” pensavo che si, belle le emozioni, ma se poi non trovavo qualcuno con cui condividerle, ecco che mi sentivo viva a metà.
Oggi, io e le mie due adorate pelose con cui partecipo la casa ed il cuore, pensiamo fermamente che per quanto quel desiderio di condivisione è destinato ad accompagnarci per sempre, perché condividere è bello, perché condividere è umano, la vera conquista di questi lunghi e difficili anni, non sia stato un uomo, un compagno per la vita, ma scoprire che il vero senso di tutto è intrappolato proprio tra l’attimo esatto in cui “sento” ed il momento in cui “realizzo” il mio stesso stupore (autocitazione).

Cosi oggi, passeggiando per Roma con uno sconosciuto la cui mente mi ha gradevolmente  stupito, ascoltando un piccolo concerto imbastito in una piazza qualunque, in un pomeriggio qualunque, parlando con una delle mie migliori amiche e scoprendo cose di lei che, dopo tanti anni, ancora non sapevo e che mi hanno piacevolmente sorpresa, passeggiando a notte fonda davanti al Foro di Augusto illuminato di Blu nella magnifica cornice della mia Roma Antica, ripensando ad Apollodoro di Damasco, alle lunghe email piene di sorrisi scambiate in questi giorni con un altro esploratore incallito del mondo, ho “sentito” e “ realizzato” molto più di quanto le persone non facciano in un intero anno.

E sarà la sonnolenza cronica che riesce a spegnere più spesso la testa che altrimenti filtrerebbe le emozioni con usuale, razionale vivisezione, ma io il senso del mondo, il mio senso, lo sento davvero. Forte. Fortissimo.

Leggevo qualche ora fa le riflessioni di una persona che conosco, poco a dire il vero, e che poneva tantissime domande. Erano anche belle alcune, provocatorie, ma non sono riuscita a commentare, perché l’unica cosa che mi veniva in mente di scrivere nel commento, probabilmente non gli sarebbe piaciuta.

Non si possono cercare negli altri le risposte. Ognuno ha le sue, ed alla stessa domanda, ci potrei scommettere, ognuno avrà la sua personale ricetta, peculiare soluzione, diversa, opposta, certamente non la tua, non la risposta che cerchi.
Potrebbe essere simile, ma non sarà mai la tua, mai uguale, perché il tempo che intercorre tra il momento in cui “senti” ed il momento il cui “realizzi il tuo stesso stupore” è davvero troppo personale, così singolare che se per alcuni è un piccolo, piccolissimo attimo, per altri può essere lungo una vita.

Buonanotte. Chiudo gli occhi anche io.

insonnia2

L’errore

(L’incredibile performance di un Uomo morto.)

Sei così convinto del mio errore. 

Eppure sai così poco di me. 

Sei così convinto delle mie premeditate inconsce vie di fuga, della mia indisponibilità emotiva, del mio non voler esserci veramente, del mio non voler restare. 

Non posso dissuaderti dalle tue convinzioni, nè persuaderti dall’idea che hai di me. 

Abbiamo parlato spesso di limiti, di emozioni, di sogni e la nostra volontà di perseguirli. Dei nostri fallimenti, di quanto varrebbe la nostra vita se morissimo in questo momento. 

Tuttavia, l’unica cosa che davvero avrebbe potuto darti un indizio, di dove s’insinui veramente l’Errore, non l’hai neanche notata. Eppure ti riguardava, in quale modo. 

Ho ripensato tutto il giorno alla nostra conversazione. E credimi se ti dico, che da qualsiasi parte io lo guardi, quell’errore, quel neo, quell’imperfezione che mi concerne, non ha nulla a che fare con l’essere emotivamente non disponibili. 

Quell’errore, quel neo, quell’imperfezione che mi appartiene è molto più spaventosa. 

Perché dall’indisponibilità emotiva, si può venir fuori: sono momenti, periodi più o meno lunghi dai quali alla fine, seppur con infiniti equilibrismi ed assestamenti, ci si può liberare e ritrovare una rinata disponibilità.

La verità è che io non so giocare. 

Chi mi conosce bene, sa quale potenza creativa siano capaci di sprigionare le mie emozioni, che tu riduci ad una semplice e lapidaria sintesi: “dall’altra parte c’è questa capacità di entusiasmarti mille volte al giorno per questo o quello o questa cosa o quell’altra, meccanismo questo forse un pò infantile, nel senso buono del termine”.

Sono stata una bambina solitaria, un’adolescente interrotta, un’adulta introversa ed impenetrabile, condannata a proteggere tenacemente quella bimba solitaria che mi porto dentro da tutta la vita.

Avrei voluto crescesse, la mia piccola e delicatissima Elisewin, avrei voluto insegnarle a non avere paura, ma la verità è che non si può insegnare il coraggio, quando non ne possiedi. Potresti obbiettare che guardando la mia vita, non si può dire che io non sia stata una donna coraggiosa. Che sia vero o no, ha poca importanza. L’importanza è l’immagine che abbiamo di noi stessi. E di coraggio ne ho da vendere, ma mai se entrano in gioco i veri sentimenti. 

La mia piccola e delicatissima Elisewin, sa che un giorno Adams arriverà. O almeno così le ho fatto credere, senza non più crederci tanto neanche io.

Così, succede che quelle rare volte in cui piccole magie accadono o si compiono nella mia vita, quella bambina si risveglia e mi implora di giocare. Ma lei non sa, quanto sia doloroso perdere. Allora le concedo e la nutro di piccole emozioni, di tramonti, di passeggiate al parco, di musica, di carezze pelose, di dialoghi surreali, di sogni, e perché no, di una semplice partita di calcio allo stadio. Per te, emozioni infantili, per lei, boccate di ossigeno. I bambini sono semplici. I bambini conoscono meglio di noi il valore delle piccole cose.

No, davvero non sa quanto sia doloroso perdere. 

Non lo sa: semplicemente, Io non glie l’ho mai permesso. 

Anni fa, tanti anni fa, ancora tentavo, ancora avrei voluto che imparasse a rialzarsi, ad incassare le disfatte. Poi i fallimenti, le bugie dalle quali non si può scappare, che non danno alcuna possibilità di scelta. L’incredulità della mia innata quanto sofisticata ingenuità, davanti alla bruttezza delle cose, delle persone. Davanti all’anaffettività, alla mancanza di cura.

Non ce l’ho fatta. Invece di insegnarle il coraggio, a rialzarsi, l’ho semplicemente protetta dal dolore. E’ una bambina molto sensibile, lo è da sempre. Ed è anche il mio più grande fallimento: io, che più di tutto, avrei voluto unire, l’ho separata da me e dal resto del mondo, relegandola a giocare da sola, facendole credere che quello fosse l’unico modo possibile. 

Non sarei mai stata una madre riuscita. Non ho saputo esserlo neanche di me stessa. 

Ho lasciato che imparasse a giocare da sola: non conosce la competizione, quella piccolissima me, non conosce la sfida, semplicemente non ha mai imparato a perdere. 

Non glie l’ho mai concesso, sono sempre andata via prima che qualsiasi vera partita sulla scacchiera della vita si giocasse. 

Così quando le cose del mondo mi fanno paura, semplicemente faccio un passo indietro.

Un lungo passo indietro. 

Tanto lungo da diventare irreversibile. 

Razionalissimi sillogismi, perfettamente calzanti, affatto centrati, non fanno altro che confermare le mie ipotesi. 

Ma quando sono sola con me stessa, non posso far altro che constatare quanto negli anni sia stata brava a costruire castelli di razionalissimi alibi. 

Si può uccidere un uomo per vendetta. Si può uccidere un uomo per difesa. 

L’atto è il medesimo, ma è il Kokorozashi, la direzione profonda del nostro cuore che fa la differenza. E’ la vera causa che mettiamo dietro alle azioni, che ci mostra il limite. Il nostro limite.

E per quanto mi sia detta tante volte che non si può inseguire l’amore, che non si può imploralo, che non si può neanche semplicemente chiederlo, so, nel mio mondo adorato e maledetto, che semplicemente, da un certo punto in poi, non ho mai più avuto il coraggio di lottare o di andare a cercarlo. Un sussulto del cuore, un piccolo spavento ed io mi ritiro.

Arbitro di parte di un gioco a cui io stessa non sapevo giocare, ho semplicemente squalificato l’avversario prima che la vera partita si giocasse. 

Questo è l’errore, Massimo. 

Non di non voler restare, di non voler costruire, ma di non saper giocare, o quanto meno, di avere una fottuta paura di farlo.

Il mio più grande limite. 

Il mio più grande fallimento. 

““Elisewin prese tra le mani il volto di quell’uomo e lo baciò. Nelle terre di Carewall, non smetterebbero mai di raccontare questa storia. Se solo la conoscessero non smetterebbero mai. ognuno a modo suo tutti continuerebbero a raccontare di quei due e un’intera notte passata restituirsi la vita l’altro, con le labbra ,con le mani, una ragazzina che non ha visto nulla e un uomo che ha visto troppo uno dentro l’altra ogni palmo di pelle è un viaggio di scoperta di ritorno .nella bocca di Adams a sentire il sapore del mondo sul seno di Elisewin a dimenticarlo nel grembo di quella notte stavolta, nera burrasca, lapilli di schiuma nel buio, onde come cataste franate, rumore, sonore folate furiose di suono e velocità, lanciate sul pelo del mare nei nervi del mondo, oceano mare, colosso che gronda stravolto, sospiri, sospiri nella gola di Elisewin, velluto che vola, sospiri ad ogni passo nuovo in quel mondo che valica monti mai visti e laghi di forme impensabili. Sul ventre di Adams il peso bianco di quella ragazzina che dondola musiche mute, chi l’avrebbe mai detto che baciando gli occhi di un uomo si possa vedere così lontano accarezzando le gambe di una ragazzina si possa correre così veloce e fuggire fuggire da tutto vedere lontano venivano dai più lontani estremi della vita, questo è stupefacente a pensare che mai si sarebbero sfiorati se non attraversando da capo a piedi l’universo e invece nemmeno si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, una cosa di un attimo il primo sguardo e già lo  sapevano questo è meraviglioso. Questo continuerebbero a raccontare per sempre nelle terre di Carewall, perché nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi, mai lontani abbastanza per trovarsi lo erano quei due lontani più di chiunque altro e adesso grida la voce di Elisewin per i fiumi di storie che forzano la sua anima e piange Adams sentendole scivolare via quelle storie alla fine… Finalmente finite, forse il mondo è una ferita e qualcuno la sta riducendo in quei due corpi che si mescolano e nemmeno è amore questa stupefacente ma è mani e pelle e labbra, stupore, sesso, sapore, tristezza forse, perfino tristezza, desiderio, quando lo racconteranno non diranno la parola amore 1000 parole diranno taceranno amore. Tace tutto intorno quando d’improvviso Elisewin sente la schiena spezzarsi e la mente sbiancare, stringe quell’uomo dentro, gli afferra le mani e pensa: morirò. Sente la schiena spezzarsi e la mente sbiancare stringe quell’uomo dentro e afferra le mani e vedi, non morirà.” – Oceano Mare – Baricco

Un uomo che precipita.

Un grattacielo.

Una macchia nel cielo.

Un uomo che precipita.

Un aereo.

Una macchia nel cielo.

Un uomo che precipita.

Queste due fotografie strazianti sono figlie della stessa disperazione. Potrebbero essere due semplici immagini stampate su carta fotografica, quella carta che taglia l’aria e si conficca come coltelli nella testa. Quella disperazione dovrebbe appartenerci, dovrebbe appartenere a tutti noi. Dovremmo sentircela addosso.

Odio, intolleranza, pregiudizio, fondamentalismi.

Violenza , arroganza, viltà, menefreghismo, superficialità, noncuranza. Questi siamo noi. Tutto questo ci appartiene.

Non possiamo rimanere indifferenti, non possiamo. Eppure so che rimarremo a guardare, come per tutto ciò che non tocca i nostri privilegi, come per il genocidio in Ruanda, come abbiamo guardato con distacco tutte le Guerre Sante alle quali non ci siamo opposti, come abbiamo dimenticato una guerra che in Afghanistan dura da venti anni, come rimaniamo a guardare ogni giorno barconi di disperati che riescono a partire dai lager libici, dopo anni di viaggio, sperando nella salvezza sulla nostra terra o nella morte in mare, che sarebbe comunque più accettabile che il rimpatrio dagli aguzzini libici, pagati con i nostri soldi per nascondere l’immondizia, la desolazione che la nostra “benedetta” società occidentale produce.

La nostra immondizia, la nostra merda.

Siamo rimasti a guardare gli splendidi risultati del post-colonialismo in Africa. Era affar nostro quando eravamo li a far da padroni, a saccheggiare le loro terre, a denigrare la loro cultura. Poi abbiamo finto di andarcene, abbiamo diviso un intero continente a dadini e listarelle come una ben disegnata scacchiera ed abbiamo lasciato li i nostri fanti e i nostri alfieri. Di guardia.

Perché della loro cultura, del loro benessere, a noi, diciamoci la verità, non ci è mai fregato un cazzo. La loro povertà, le loro guerre, servivano a foraggiare il nostro benessere.

Abbiamo alzato muri, esportato armi, imposto dittatori. Abbiamo lasciato bambini morire nell’inferno delle miniere di diamanti, di coltan e cobalto.Ci serviva l’anello di fidanzamento più bello per fare invidia alle amiche, il brillocco più grande, il cellulare con le tecnologie più avanzate per farci i selfie.

E che importa se c’era chi, per costruire Oleodotti, per estrarre petrolio, insinuava in noi il germe della guerra giusta. Ci siamo convinti che la democrazia si potesse esportare con le armi, e no, non ci hanno convinti i media, lo abbiamo fatto da soli, perché ci potessimo permettere di non pensare, perché era più comodo non farlo, perché potessimo permetterci di chiudere gli occhi e continuare a vivere le nostre inutili, mediocri ed insulse realtà.

L’occidente, una mandria che ha bisogno di influencer per pensare: ci devono influenzare perché noi, a pensare da soli, evidentemente non siamo capaci. E nonostante sia palese che non abbiamo la minima capacità di pensiero indipendente, ci arroghiamo il diritto di avere opinioni.

Muti dovremmo stare. In silenzio.

Giorno dopo giorno, un anno per ogni anno di guerra di cui siamo stati complici.

A guardare questo orrore.

Ad ascoltare il boato delle mine antiuomo che fanno a pezzi bambini che giocano.

A guardare un padre disperato che tiene in braccio il suo bambino senza vita.

A guardare il corpo di un bimbo morto affogato su una spiaggia.

A guardare il sangue colare dalle gambe dalle donne violentate, massacrate di botte e piene di lividi.

Che non sia solo la condivisione di post pseudo intellettuali sull’argomento del giorno di finta indignazione.

Che ci entri nelle ossa, che ci dilanii, che diventi finalmente anche il nostro orrore.

Che diventi finalmente anche il nostro dolore. La nostra disperazione.

La disperazione di un uomo che precipita.

Catilinaria dell’uomo mediocre.

È da una quindicina d’anni che di tanto in tanto frequento chat di incontri. Quando ero all’estero, quando tornata a Roma lavoravo da casa ed avevo poche occasioni di conoscere persone, uscire, fare nuove amicizie. Su queste chat incontravo persone di tutti i tipi e ho conosciuto persone che tutt’ora sono nella mia vita, persone straordinarie, di grande intelligenza, con cuori belli, anime gentili, irriverenti, anticonformisti o meno, ma davvero persone che tuttora ringrazio di essere con me per questo breve viaggio e per tutto quello che mi hanno dato in questi anni.

Ecco, una volta le chat di incontri erano letteralmente questo: luoghi virtuali per conoscersi, usando i tempi lenti che la scrittura e la lettura richiedono per riflessioni, pensieri lunghi.Oggi no. Siete ovunque.Voi narcisisti tartarugati con mezzo neurone epilettico avete invaso qualsiasi, e dico qualsiasi luogo virtuale: ve trovo pure nel club virtuale de uncinetto porcoggiuda.

Sono in chat di incontri internazionali e lo squallore che leggo nelle chat del bel paese ( Tinder Meetic,OkCupid che sia, senza eccezione) batte pure le trasmissioni di Barbara D’Urso. Un Danese, un norvegese, un francese, un americano, mai e dico mai dopo neanche un’ora di chat, che pe capisse e per chi non frequenta, per sua fortuna, corrispondono ad uno scambio di circa 10 righe da 35 lettere ciascuna ( fateve i calcoli,) si metterebbe a parlare di sesso. Dal come ti piace farlo, a “le fai le cose a tre?”, a “sembri un tipo passionale”, “ Ho voglia di farti venire i brividi“ “ Quante coccole ti farei,” “ Ti farei sentire una donna vera” Hai due labbra da…” e potrei continuare per ore.

Mi nauseate.

Ho raggiunto il limite della sopportazione dopo che ho dovuto cibarmivi per quest’anno di pandemia del cazzo che ci ha costretti a casa, noi single, e più o meno costretti a frequentare questi siti per non morire di noia.

Mi fate ribrezzo.

Siete dei vigliacchi.

E ve lo dice una che potete tranquillamente definire libertina, o come vi piace la shatteria itanglish “ Open Minded”.

Non ve lo dice una che sta su ste cazzo di chat per trovare il principe azzurro e sposarsi per avere tanti deliziosissimi pargoli e vivere felici e contenti. Anzi, vi dirò di più, ve lo dice una che pensa che l’amore sia perlopiù una malattia.

Quindi ora aprite le orecchie. Voi con o senza slippino sexy, coglioni che siete capaci di intraprendere chat erotiche basandovi sulle foto di gente che se solo incontraste di persona cambiereste marciapiede, tanto sono ritoccate e fasulle. O peggio con donne con l’autostima sotto i piedi che per sentirsi qualcuno vi devono far vedere le tette e i labbroni cor botox. Voi, proprio voi, ad un tavolo con una donna al primo incontro, che vogliate solo farvela o no, non direste mai dopo 4 minuti di conversazione “ Scopiamo?”.

Perchè non è educato. Ma soprattutto perchè col vostro napoleonico narcisismo non accettereste mai un vaffanculo o una sonora risata da una che vi risponde “ Sei proprio, un grandissimo, coglione”.

Non lo fareste non per ipocrisia, ma perché nella vita reale non ci sono schermi a proteggere le vostre insignificanti, minuscole e raccapriccianti vite.

Dottori, giornalisti, Business manager, Professorini, artisti mezzi falliti, musicisti che manco al liscio ve farebbero l’applauso….e titoli vari che andrebbero tutti modificati con “ Sto gran cazzo” ( per darvi un pò di soddisfazione dico, eh).

Siete così inutili come esseri umani che per scoparvene una dovete fare pesca sportiva e sedurne 1000: nella casistica delle probabilità, una ve la da. Ecco, ve la da. E ora che avete goduto inserendo il vostro insignificante arnese in una vagina invece che guardando YouPorn – ve lo consiglio peraltro, ottimi spunti e meno impegnativo di un appuntamento al buio – sentitevi peggiori. Perché lo siete. Io ci uscirei con voi.

Perché ad un tavolo, guardandovi negli occhi, vi farei cagare sotto di una diarrea fulminante. Vi disintegrerei.

Mi basterebbero le parole. Il vostro ego è talmente fragile che mi basterebbe uno sputo per farvi sentire delle noiosissime merde.

Voi che vi presentate col biglietto da visita di Amanti d’Eccezione, ve lo farei tirare fuori, ve lo misurerei davanti a tutti, lo commenterei, perché quale problema c’è, ad una sconosciuta in chat il cazzo glie lo vuoi far vedere, la foto glie la mandi, a varie sconosciute/i sedute in un bar no? Dovrebbe piacervi invece.

Voi che fate gli uomini che non devono chiedere mai, vi faccio a pezzi l’autostima con uno schiocco di dita. Accomodatevi signori, non abbiate paura, mettetemi alla prova, sulle vostre teste, ci spengo l’ultimo briciolo di dignità che potreste sentire di avere.

Quando avrò finito con voi, sarete degli zombie che non si ricordano neanche come si chiamano. Signori, per far godere veramente una donna, ci vuole la testa, ci vogliono ben più di due neuroni. Ma parliamo di far godere una donna, non balene spiaggiate in cerca dell’approvazione di un genere maschile in piedi decadimento.

E un’altra novità, sappiamo fingere, cazzoni, fingiamo benissimo, ricordatevelo bene… e non lo saprete mai: non ve ne frega neanche, per carità, siete li solo per inzuppare il biscottino. Ed è proprio per questo che non siete e non sarete mai dei grandi amanti. Ci vuole un Uomo per far godere una Donna, ci vuole coraggio. Ci vuole cervello. Ci vogliono emozioni, anche quelle che durano una sola notte.Ma voi, masturbatori seriali, narcisisti autoriferiti, autoreferenziati, siete delle sterili piattole. E visto che neanche questa mia catilinaria sull’uomo mediocre vi potrà fermare, vi chiedo almeno, se proprio avete necessità di farvelo venire duro e smanettarvi con una mano mentre con l’altra tenete il cell il mano, di verificare che non stiate esattamente parlando con una sciampista, una psicolabile in cerca di approvazione, un buco da riempire.

E vi chiedo educazione. L’educazione di chi, quando legge A CHIARE LETTERE che qualcuno non sta li necessariamente per trombarsi l’universo mediocre di questa sottospecie di esemplare bipede meno sveglio di uno scimpanzé, gira velocemente i tacchi e cambia aria.

E no, io ci rimango in chat, non ve la do vinta. Perché tanto siete ovunque.

Ogni tanto si trova quell’uno su mille che non è un cazzone ma conserva la sua dignità e che prima di scoparsi qualcuna ha voglia quantomeno di intavolare una conversazione e magari incontrala di persona per essere certa che non si chiami Alfredo, non abbia il cazzo e che non sia li a fare marchette.

E ci rimango per distruggervi. Uno ad uno.

Ormai è una missione.

Quando avrò finito con voi, omuncoli raccapriccianti, preferirete essere i viaggio su una capsula criogenica malfunzionante in spedizione su Marte.

Sarete invisibili.

E finalmente guardandovi allo specchio vi vedrete. E vedrete quello che vedo io.

Il nulla.